The Quiet Girl

Emanuele Di Nicola scrive del film di Colm Bairéad, nelle sale italiane dal 16 febbraio.

The Quiet Girl di Colm Bairéad

A volte, ci sono film che ottengono un equilibrio perfetto, miracoloso. In teoria non dovrebbero averlo, perché non sono frutto di “grandi autori”, non vengono attesi e ci cadono nello sguardo all’improvviso, in modo quasi preterintenzionale. È il caso di The Quiet Girl, l’esordio al lungometraggio del regista quarantaduenne Colm Bairéad, candidato all’Oscar per l’Irlanda come miglior film straniero. Tratto dal racconto Foster di Claire Keegan, è la storia di una bambina di nove anni, forse una delle figure più difficili da portare sullo schermo oggi, nell’epoca del nuovo cinismo, in cui tutto è già stato detto e visto. Il film ci riesce esattamente.

Estate 1981. Cáit è la bambina tranquilla del titolo; ennesima figlia di una vasta famiglia povera, viene trascurata dalla madre e
maltrattata dal padre, un giocatore alcolizzato. È un problema sfamare tutte le bocche del nucleo, una in meno non può che far comodo: ecco perché Cáit viene mandata da una lontana cugina della madre, Eibhlín, e dal marito Seán, per qualche mese, ad imparare la realtà di una fattoria. È una bella bambina alta, capelli rossi e occhi azzurri, ma all’inizio la troviamo malvestita e piuttosto trascurata, con gli abiti sgualciti che le riservano i genitori. Non parla quasi mai, è riservata e taciturna («Non è neanche di compagnia», sentenzia il padre), forse perché non ha nulla da dire. Una bambina non amata, ma senza alcuna retorica né sentimentalismo: le cose stanno così, punto e basta. Ed ecco il primo dardo del film: presentare un quadro, una situazione così com’è, tratteggiando un contesto in cui l’affetto e l’amore non sono previsti, li sostituisce il silenzio. L’enfasi non serve, basta mostrare, è tutto davanti agli occhi.

Quando Cáit arriva dai parenti, comincia un graduale e faticoso percorso di apertura. Mentre Eibhlín è da subito molto materna, Seán si mostra freddo e scostante con la nuova arrivata, quasi ripetendo l’indifferenza ricevuta dal nucleo primario. Dal muro e dalle risposte gutturali, nel corso del tempo passa lentamente a coinvolgerla, portandola con lui per occuparsi degli animali. Il film restituisce la metamorfosi di Cáit sul piano squisitamente visivo. Il primo segnale è il bagno caldo offerto dalla zia, a lei che si è sempre lavata con acqua fredda, dove la piccola impara la cura intesa come preoccupazione dell’altro. La bambina, passo dopo passo, si apre, sboccia come un fiore. Dal cambio di vestiti alla pettinatura dei capelli, entra nel bozzolo dei “secondi genitori” e ne esce per diventare farfalla. Poi, come da archetipo narrativo, dovrà confrontarsi anche col lutto della famiglia putativa, un figlio scomparso e occultato dietro il velo del non detto. Tutti, insomma, nel percorso si aprono.

Trovando una memorabile attrice bambina, Catherine Clinch, il film punta forte sul “mistero” della ragazza silenziosa: la presunta tranquillità della bimba la rende per chi guarda un personaggio illeggibile, perché è molto difficile stabilire i suoi veri sentimenti, il reale moto interiore. A tratti sembra subire passivamente gli eventi, a tratti vi partecipa dando prova di un’intelligenza improvvisa, un’acutezza insospettata. Quando chiede perché gli agnelli non bevono il latte materno, riservato solo all’uomo, in una battuta denuda l’ipocrisia umana sullo sfruttamento del mondo animale, meccanico e senza limiti, che una bambina, appunto, non può capire. The Quiet Girl tira lentamente il filo nascosto dei sentimenti, semina la storia di indizi e segnali, di prove da interpretare, come una carezza e un biscotto, che vengono riassunte nel flashback finale, piccolo capolavoro di minimalismo che diventa universale. Alla fine, il sentimento esplode: la deflagrazione arriva quando si toccano le molte micce innescate e si incastrano i tasselli del sentimento, che peraltro rimane in sospeso. Il simbolo è la corsa, la corsa di Cáit che spezza la stasi della sua condizione, l’incubo di una vita in grigio, e contiene la scoperta dell’amore prima che sia troppo tardi.


di Emanuele Di Nicola
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