The Last Showgirl

La recensione di The Last Showgirl, di Gia Coppola, a cura di Francesco Parrino.

Quando Le Razzle Dazzle, la scintillante revue di Las Vegas di cui è stata protagonista per tre decenni annuncia che chiuderà i battenti, la 57enne Shelly Gardner (Pamela Anderson), una ballerina glamour dal retaggio leggendario, è costretta a fare i conti con le decisioni che ha preso lungo tutta la sua vita. Con lei la sua migliore amica, Annette (Jamie Lee Curtis), ex-membro delle Le Razzle Dazzle e ora cameriera di cocktail in un rinomato casinò di Las Vegas, Eddie (Dave Bautista), il produttore dello show e le giovani Mary-Anne (Brenda Song) e Jodie (Kiernan Shipka). Il ritorno nella sua vita della figlia Hannah (Billie Lourd) chiarirà a Shelly, una volta per tutte, quale sarà il suo prossimo passo. Questo è The Last Showgirl, il nuovo film di Gia Coppola che trovate al cinema con BeWater Film in collaborazione con Medusa Film. Una visione che ci sentiamo di dire irrinunciabile.

Intanto perché una storia vera, o perlomeno, liberamente ispirata a fatti reali. La sceneggiatura di Kate Gersten è, infatti, una rielaborazione di Body of Work. Un lavoro teatrale scritto di suo pugno ispirato agli ultimi gloriosi giorni del Jubilee. Si tratta di una revue celeberrima andata in scena all’MGM Grand Hotel and Casino aka Horseshoe Las Vegas dal 1981 sino al 2016 dal destino nemmeno poi così diverso da Le Razzle Dazzle di The Last Showgirl. L’altra ragione riguarda il volto di copertina e principale attrattiva del film. Quella Pamela Anderson su cui Coppola ha sviluppato i contorni caratteriali di Shelly sin dalle prime fasi di sviluppo del copione, e che c’è mancato poco che non vi prendesse parte. L’agente della Anderson – ora ex-agente – aveva infatti cestinato la proposta di Coppola senza nemmeno farne menzione alla sua assistita che del film ha saputo soltanto dal figlio, il produttore Brandon Thomas Lee, raggiunto da Coppola tramite amici in comune.

E meno male aggiungiamo noi, perché in effetti è solo grazie alla presenza scenica di Anderson che The Last Showgirl diventa qualcosa in più di un semplice film di resilienza, strass e piume. Del resto, per ammissione della stessa ex-C.J. Parker del serial Baywatch: «Mi sono state date molte sceneggiature nella mia vita, ma mai una sfida come questa. Non vedi parti come questa quando lavori in costume da bagno. Ero talmente attratta da Shelly da sentire la sua voce nella mia testa fino ad immaginare tutto. Quando ho letto il copione ho pensato: Questa è quella cosa di cui le persone parlano quando leggono il materiale e sanno che devono prendervi parte». Più che di maturazione o di rinascita, però, nel caso di Anderson sarebbe meglio parlare di riscoperta inattesa perché davvero in pochi, a Hollywood, avrebbero potuto immaginare una performance di una simile grazia artistica e dall’impressionante cifra drammatica. Tutt’intorno al corpo scenico di Anderson, Coppola costruisce una narrazione intima ma di portata universale dalle immagini sporche a camera stretta sulla ricerca di amore e comprensione e sull’aggrapparsi alla speranza anche quando il mondo sembra avere altro in mente per te. Una struggente ballad per immagini filmiche sul sopravvivere quando ti vengono sgretolate tutte le certezze, The Last Showgirl, e sulla paura di non poter più tornare indietro quando c’è solo da andare avanti e ricominciare. E sogno e nostalgia, coraggio e determinazione, perdono e aspettative disilluse, e la certezza che se per Anderson The Last Showgirl è il terzo tempo di una carriera travolgente, per Gia Coppola è il lavoro che ne va a identificare una precisa identità registica di cui ci aspettiamo di vedere molto altro ancora.


di Francesco Parrino
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