The Disaster Artist
Cercare di fare rivivere la realizzazione di un film considerato tra i peggiori di tutta la storia del cinema è sicuramente cosa rischiosa, ma alla portata di James Franco, il quale ha saputo raccontare una vicenda tragicomica facendo sorridere, senza mai ridicolizzare chi questa storia l’ha vissuta davvero.
Basato sul libro autobiografico scritto da uno dei due protagonisti, il giovane aspirante attore Greg Sestero, il film in questione è la dimostrazione di quanto sia maturato Franco anche come regista. Dopo la terribile opera prima The Ape (2005), seguita da un paio di titoli mediocri ma in cui dimostrava una buona professionalità – Fool’s Gold (2005) e Good Time Max (2007) – ha sciolto il connubio con la sceneggiatrice Merriwether Williams, sicuramente più adatta alla televisione che non al cinema. Comunque, i risultati successivi non sono quasi mai stati soddisfacenti (ha diretto fino ad ora circa una decina di lungometraggi ) fino a farlo considerare buon attore ma poco credibile regista.
Nei fallimenti e nelle incomprensioni della sua attività di autore si è sicuramente immedesimato in Tommy Wiseau, misterioso milionario col pallino del cinema che, apparso dal nulla a San Francisco, si trasferì a Los Angeles con un giovane aspirante attore – che gli aveva donato la sua amicizia – per affrontare assieme un cammino ricco di tante delusioni.
Nel libro The Disaster Artist: My Life Inside The Room, the Greatest Bad Movie Ever Made, il suo amico Sestero sostiene che sia nato a Poznań (Polonia), che abbia fatto lavori umili in mezza Europa, che si sia trasferito in Louisiana da parenti e che qui abbia iniziato a lavorare come infermiere, cameriere e quant’altro. Iscritto a un paio di scuole di recitazione con scarsi risultati, conobbe poi Greg Sestero che sarebbe divenuto il suo compagno di sogni e di avventure. Quello che non è mai stato svelato, è come sia diventato così ricco, e lo sia tuttora, continuando a operare, per altro, nel mondo dello spettacolo.
La scelta di James Franco è stata quella di raccontare l’incontro tra i due e le loro prime delusioni, per giungere velocemente a occuparsi della realizzazione di quel film, The Room (2003), come già detto da molti considerato uno dei peggiori della storia del cinema. La scelta degli interpreti, le scenografie, i tempi recitativi sono incredibilmente curati, il tutto per fare conoscere la vicenda umana e la nascita di un sogno molto vicino a un incubo.
Franco non vuole giudicare o vacuamente deridere: si pone al di sopra di ogni cosa senza mai imporre la sua regia. Ma, forse, il meglio lo dona come interprete. Infatti, racconta Wiseau in maniera naturale: è un suo sosia anche nei movimenti e nei tic, riesce anche a diventare beniamino del pubblico che riconosce in lui un emarginato a cui la sorte ha proposto un parziale lieto fine.
Molto bella la scena della Première del film, avvenuta dopo parecchi mesi dopo la conclusione delle riprese, che fa vedere il terrore del creatore di questo pasticcio senza fine, che scivola dal grottesco al soft-porn. Poi, però, il lavoro verrà letto come commedia priva di senso, fino a generare grande entusiasmo nel pubblico.
The Room è uno dei film ancora oggi tra i più cliccati (su Youtube è possibile vederlo anche con ottimi sottotitoli in spagnolo e mediocri in italiano) da parte di un pubblico che lo considera, ormai, un cult da conoscere. Guardando quanto girato quindici anni fa, ci si rende conto dell’assoluta incapacità di Wiseau, il quale non conosceva il linguaggio cinematografico ed era l’unico sprovveduto sceneggiatore dell’opera. Era convinto di essere un incompreso, ripeteva decine di volte le scene di cui era interprete perché non si ricordava le battute da lui scritte.
Il lungometraggio originale merita di essere visto per raffrontarlo con quanto realizzato da Franco, per rendersi conto come l’opera creata dal polacco sia davvero un pessimo film. Su tutto trionfano le banalissime inquadrature, praticamente ripetute varie volte per scene molto diverse tra loro, accompagnate da una musica per nulla interessante.
Per capire come la Candidatura all’Oscar di The Disaster Artist come migliore sceneggiatura non originale sia meritatissima, conoscere l’opera di partenza può essere utile.
Il cast è funzionale, con piccoli e calibrati ruoli per Sharon Stone e Melanie Griffith ma anche per il produttore Judd Apatow, l’unico che ha il coraggio di dire cose amare al sognatore senza attitudini. Per rendere ancora meglio le atmosfere del cinema e del suo dietro le quinte, sono utilizzati un produttore del valore di J.J. Abrams, nonché critici molto noti come Frankie Ponce e Isaac Phillips. Il tutto in un gioco di fiction a tratti col sapore del documentario.
Nel ruolo dell’amico del protagonista c’è Dave Franco, fratello di James, forse qui alla sua migliore interpretazione. Sempre un passo indietro nei confronti del suo megalomane amico, è l’unico che cerca di farlo ragionare, di portarlo nuovamente con i piedi per terra.
Il film di Wiseau costò 6 milioni di dollari perché si era cercato di fare a meno della collaborazione di un produttore in grado di pianificare le spese, evitando ad esempio molte inutili ricostruzioni negli Studios di location facilmente utilizzabili e già esistenti. Tutto era totalmente disorganizzato. In compenso si girava con camere digitali e analogiche in 35 millimetri, non riuscendo a fare calibrare le luci molto differenti per le esigenze dei due tipi di ripresa.
Davanti a un incasso di 1800 dollari in due sale, Wiseau decise di pagare gli esercenti per ‘gonfiare’ gli incassi e poter così raggiungere i minimi necessari per aspirare a qualche nomination per l’Oscar. Dopo poche settimane, però, ci fu un’incredibile cambio di tendenza del pubblico, che iniziò a visionare questo lavoro nelle affollatissime proiezioni di mezzanotte – molto diffuse negli USA per i film cult – e, ora, su Internet con milioni di visite.
Curiosità: nel piccolo ruolo di Henry, James Franco ha messo Wiseau: un omaggio tutto sommato doveroso.
di Furio Fossati