La forma dell’acqua

Leone d’Oro al Miglior Film e ben tredici candidature all’Oscar per questa favola nera e assieme romantica firmata da un regista che ama, da sempre, intersecare profondamente il piano del reale con quello del fantastico, con un occhio alla grande Storia e l’altro alla fantasia più pura e sfrenata. Era appunto su questo ossimoro, su questo azzardo, su questa ibridazione che si fondava l’apprezzatissimo Il labirinto del Fauno, eccellente nella sua descrizione del terribile e allucinatorio universo sotterraneo, sopra il quale si agitavano tuttavia mostri ben più temibili di quelli del sottosuolo (la dittatura di Francisco Franco). Ed è lungo la stessa linea che si pone La forma dell’acqua: da un lato la Guerra Fredda e lo spionaggio – siamo negli Stati Uniti, negli anni Sessanta – e dall’altro l’amore segreto e impossibile tra una donna e un essere mostruoso ma quanto mai intelligente e sensibile.
Stavolta però sono davvero tanti, e diversi, i fili che il regista messicano intreccia strettamente per comporre la sua opera multiforme: alla base c’è l’impostazione della fiaba classica che si sviluppa secondo i noti schermi codificati da Propp, con richiami tanto formali quanto contenutistici a La bella e la Bestia e, se vogliamo, perfino a La sirenetta. Anche se, va detto, forse l’universo incantato e oscuro di Del Toro è assai più manicheo e rigido di quello evocato in certe fiabe, dove, a ben guardare, si conserva ancora qualche traccia di quell’ambiguità e di quella contraddittorietà che inevitabilmente appartengono alla realtà di cui, in ultimo, la fiaba stessa è sempre metafora.
Il racconto di Del Toro è fantascienza che strizza l’occhio all’horror ma è anche una romantica e disperata storia d’amore.
Ma il racconto di Del Toro è anche fantascienza che strizza l’occhio all’horror ed è soprattutto, come detto sopra, romantica e disperata storia d’amore. Non mancano, infine, le citazioni cinefile, da Il meraviglioso mondo di Amelie, solamente evocato in apertura, a quelle che passano invece a chiare lettere attraverso la televisione e lo scalcinato cinema “Orpheum”. Senza contare che a monte di tutta l’operazione sta, ovviamente, il celebre “mostro della laguna nera” di Jack Arnold.
La protagonista Elise dunque, che è orfana e muta, e i suoi sodali – l’amico artista omosessuale e la collega afroamericana gioviale e un po’ pettegola – sono animi sensibili, emarginati in un mondo cinico e a tratti violento. Il mostro marino, scovato (non a caso) in Amazzonia e ora prigioniero nel laboratorio dove Elise lavora come addetta alle pulizie, è una creatura assieme potentissima e inerme, maltrattata, tormentata e contesa tra russi e americani, che verrà infine salvata dalla coraggiosa Elise in nome della magica e perfetta empatia che li lega. Dall’altra parte della barricata c’è invece il colonnello Strickland, un “cattivo” in piena regola senza alcuna possibilità di redenzione, affiancato dal Dottor Hoffstetler, che invece rivelerà – oltre alla sua identità segreta – anche il suo lato buono, sostenendo la ragazza nella sua pericolosa impresa.
Nella descrizione delle atmosfere e nella splendida tavolozza cromatica – buio e ambra di luci artificiali, e poi verdi e azzurri di luminescenze acquatiche – Del Toro è indiscutibilmente eccezionale. E assolutamente in accordo con il suo approccio sono le belle musiche di Alexandre Desplat. Nulla da eccepire sul cast, in cui primeggia la brava Sally Hawkins che pure senza l’ausilio della parola riesce a dare al suo personaggio una grande espressività e profondità emotiva.
Eppure, in questo caso, il risultato è in qualche modo inferiore alla somma delle singole parti. Nonostante l’accoglienza più che positiva, ci si chiede infatti a quale tipo di pubblico, in ultimo, sia effettivamente rivolto questo complesso e curatissimo lavoro di Del Toro: è una fiaba ma non è per ragazzi, perché la (bella) descrizione della sessualità e quella (non gratuita e tuttavia marcata) della violenza sono pensate per tutt’altro pubblico. Pubblico che tuttavia avrebbe necessità di qualche raffinatezza e sfumatura in più e di un linguaggio forse meno didascalico.
Trama
Baltimora, anni Sessanta. La giovane Elisa lavora coma addetta alle pulizie in un grande laboratorio scientifico dove scopre una creatura misteriosa e bellissima che americani e russi si contendono spietatamente. Quando la situazione diventerà critica, deciderà di salvarla a proprio rischio e pericolo.di Arianna Pagliara