Water (Acqua) – Film d’apertura – FC
Una giovane coppia di Tel Aviv è costretta a condividere la frescura di una fonte in mezzo alla campagna con un gruppo di lavoratori palestinesi tra paure ataviche e sprazzi di solidarietà (Still Waters di Nir Sa’ar e Maya Sarfaty). Un venditore d’acqua palestinese rifornisce d’estate i serbatoi e i pozzi nella zona di Betlemme lasciata all’asciutto dal controllo esercitato dai coloni (The Water Seller di Mohammad Fuad). Un soldato israeliano sull’orlo dell’esaurimento nervoso e un contadino palestinese arrestato perché ha violato il coprifuoco per annaffiare i suoi cocomeri cercano di addomesticare un’asina (Raz and Raja di Yona Rozenkier). Un attore famoso e i suoi due figli intrattengono un singolare rapporto con l’anziana vicina di casa, sopravvissuta ai campi di sterminio, a base di equivoci e gocce di collirio (Eye Drops di Mohammad Bakri). Un anziano arabo che ha vissuto a lungo negli States gestisce una piscina frequentata da famiglie palestinesi che non hanno mai visto il mare, ma anche da gruppi di coloni che la fanno da padroni (Kareem’s Pool di Ahmad Bargouthi). Un soldato israeliano, in una pausa dalle esercitazioni, rivive un momento della sua infanzia e s’immagina immerso nella vasca da bagno mentre la madre gli lava i capelli e il padre lo esorta a sbrigarsi (Drops di Pini Tavger). Una giovane e timidissima ebrea ortodossa, mentre attende che i suoi genitori la portino a uno Shidduch, l’appuntamento che prelude a un matrimonio combinato, intrattiene una bizzarra conversazione, attraverso una porta chiusa, con un idraulico arabo (Now and Forever di Tal Haring).
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Documentario e finzione, dramma e commedia, autoironia e denuncia. Otto registi israeliani e palestinesi, e sette opere compongono Water, che nasce da un’idea di Yael Perlov su iniziativa dell’Università di Tel Aviv. Tra gli autori figurano esordienti assoluti ma anche un nome consacrato come quello di Mohammad Bakri, uno dei più celebri attori e autori palestinesi, interprete tra l’altro di Private di Saverio Costanzo e regista del controverso documentario Jenin, Jenin (2002), che mette in scena se stesso e i suoi due figli, tra cui Saleh, anche lui attore (La banda di Eran Kolirin, La sorgente dell’amore di Radu Mihaileanu). Il film, nel suo insieme, vuole documentare, attraverso un tema universale come quello dell’acqua, i diversi punti di vista e gli elementi di conflitto ma anche di possibile – o impossibile – comunicazione tra israeliani e palestinesi. Un progetto di evidente valore politico che prende spunto da uno degli oggetti della guerra che quotidianamente viene combattuta in quelle terre dilaniate, non solo con le armi ma spesso con mezzi più sottili, come appunto il controllo dei pozzi artesiani e delle falde acquifere. Con esiti diversi, come sempre nelle opere collettive, Water ci offre straordinari spunti di riflessione e alcuni momenti di cinema puro.
(Cristiana Paternò)
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I cortometraggi che compongono il progetto Water sono diretti da Nir Sa’ar e Maya Sarfaty (Israele), Mohammad Fuad (Palestina), Yona Rozenkier (Israele), Mohammad Bakri (Palestina), Ahmad Bargouthi (Palestina), Pini Tavger (Israele) e Tal Haring (Israele)
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NOTE CRITICHE di Mariella Cruciani
Il film d’apertura della Sic, Water, è un film collettivo, girato e interpretato da registi e attori israeliani e palestinesi: si tratta di un progetto dell’ Università di Tel Aviv che ha già realizzato un collage di corti sul caffè. Questa volta è stato scelto il tema universale dell’acqua perché, come ha chiarito Yael Perlov, ideatrice e direttore artistico dell’iniziativa, “ nel cinema, l’acqua simbolizza sempre qualcosa di poetico ma nel mio paese assume anche una valenza politica e implica lotte che possono sfociare nella violenza”. I sette corti che compongono Water sono opera di giovani esordienti: l’unica eccezione è costituita da Eye Drops di Mohammad Bakri, celebre autore e attore palestinese, che mostra, attraverso un equivoco, come sia importante ascoltare le storie dell’altro. A proposito del suo episodio, Bakri ha detto: “Mi piacciono le persone deboli e anche io, come palestinese, sono debole perché vivo in un paese occupato. Sarah, l’anziana del mio corto, sopravvissuta all’Olocausto è debole: questo mi permette di identificarmi con lei e di amarla!”.
In un altro corto, Drops, di Pini Tavger vediamo un soldato israeliano rivivere un momento della sua infanzia e immaginarsi immerso nella vasca da bagno mentre la madre gli lava i capelli e il padre lo invita a sbrigarsi. Ha commentato il regista: “La figura paterna rappresenta per me il sistema, quella materna rappresenta, invece, qualcosa di più delicato, di più intimo. Volevo mostrare la forza maschile, paterna, di cui c’è bisogno, ma che fa anche paura, come ho sperimentato nell’esercito”. I sette mini-film sono stati realizzati in totale libertà artistica e ogni episodio, oltre ad essere una storia a sé, ha uno stile ed un approccio personali. Yona Rozenkier, autore del surreale Raz and Raja ha dichiarato: “Ho cercato di fare qualcosa di spiritoso, di allegro e ho pensato ad un palestinese che ho conosciuto davvero: mi interessava raccontare l’incontro tra un trentenne e un uomo che potrebbe essere suo padre”. Naturalmente, il livello dei corti è disuguale ma resta il valore politico di un’operazione che intende scommettere sul dialogo tra paesi stremati da una guerra combattuta, non solo con le armi, ma anche con il controllo dei pozzi.
(Mariella Cruciani)
di Redazione