Terre battue (40-Love/Terra battuta)

Jérôme ha appena lasciato l’azienda in cui era dirigente. Determinato a non lavorare mai più per nessun altro, tenta di mettersi in proprio, costi quel che costi, perfino ignorando la riluttanza della moglia Laura. Il figlio Ugo, 11 anni, è una giovane promessa del tennis. Il suo obiettivo è essere ammesso al centro nazionale d’allenamento del Roland Garros. Proprio come suo padre, è disposto a tutto pur di farcela. Ma sia Jérôme che Ugo scopriranno che non tutte le regole possono essere infrante nella rincorsa al successo.
La linea di demarcazione è implacabile: o sei dentro o fuori. Nel tennis come nella vita. La strategia è a fil di rete e sbagliarla può compromettere il posto di lavoro a un padre calcolatore, come il sogno di diventare un grande campione a un figlio ragazzino. In un debutto che tiene lo spettatore col fiato sospeso, Stéphane Demoustier confeziona una narrazione filmica “à la Dardenne”, che alla stregua di una partita di tennis procede a ritmi alterni, tra il rigore e i colpi di scena. Un contemporaneo dramma/thriller esistenziale impreziosito dall’interpretazione dei magnifici Olivier Gourmet e Valeria Bruni Tedeschi.
Stéphane Demoustier è nato nel 1977 a Lille, nel nord della Francia. I suoi cortometraggi hanno vinto premi in numerosi festival internazionali: Dans la jungle des villes (2009), Des noeuds dans la tête (2010), Bad Gones (2011), Fille du calvaire (2012). Nel 2013 ha girato il documentario Les Petits joueurs sulla vita sportiva di tre bambini che gareggiano ai campionati giovanili di tennis. Terre battue è il suo debutto nel lungometraggio di finzione.
NOTE CRITICHE di Mariella Cruciani
Protagonista di Terre battue, opera prima di Stéphane Demoustier, è il piccolo Ugo ( Charles Mérienne), sorprendente promessa del tennis alle prese con il proprio desiderio di affermazione e con la crisi matrimoniale dei genitori, interpretati da Olivier Gourmet e Valeria Bruni Tedeschi. L’undicenne Ugo vuole essere ammesso al centro nazionale d’allenamento del Roland Garros e, con la stessa determinazione del padre che ha appena perso il lavoro e vuole mettersi in proprio, fa di tutto per realizzare il suo sogno. “Padre e figlio hanno, entrambi, il desiderio di vincere a tutti i costi” – ha dichiarato il regista e ha aggiunto: “Il mio intento non era creare mostri di egoismo ma mostrare una situazione familiare disfunzionale. Partendo dallo sport e dalla famiglia, ho voluto riflettere sui problemi provocati dal desiderio di successo. Non intendevo giudicare o prendere posizione ma porre delle domande, mostrando un processo”. A spiegare l’atteggiamento dell’aspirante campione non basta, però, una ipotetica mimesi comportamentale padre-figlio, pure presente, ma qualcosa di più profondo: quando la madre si separa dal padre e la famiglia si sfalda, il protagonista della nostra storia si fa carico della sofferenza paterna e se ne assume la responsabilità. Vincere il famigerato torneo significa, ora, per lui non abbandonare il genitore al suo destino ma restargli accanto e ricominciare a vivere. Il film non parla soltanto di dinamiche di emulazione o fuga dai modelli genitoriali ma della solitudine di un adolescente costretto, nel bene e nel male, a comportarsi da “adulto”, ad assumersi i doveri che i cosiddetti “grandi” fuggono.
Il giovanissimo interprete del film gioca realmente a tennis nella vita e conosce gli ingranaggi di questo mondo: in tal modo, ha dato intensità al suo ruolo, risultando naturale e mai artificioso. Le scene sono state girate una dopo l’altra, come si giocano i set a tennis, e il regista ha adottato uno stile asciutto e privo di fronzoli che guarda ai Dardenne, non a caso nella rosa produttiva del film. Demoustier, senza indulgere in facili sentimentalismi, descrive, interroga, suggerisce, emoziona, ponendo sempre al centro il ragazzino, vittima e carnefice di una famiglia e di una società pronte sempre a pretendere e mai a dare. Versione aggiornata di Antoine Doinel di I quattrocento colpi (1959) di Truffaut, il piccolo Ugo è un personaggio che conquista lo spettatore per la sua autenticità e per il suo dolore trattenuto, un personaggio commovente e facile da amare, a dispetto delle sue azioni apparentemente senza scrupoli.
(Mariella Cruciani)
di Redazione