Drift – 32SIC

Due donne trascorrono un weekend sul mare del Nord. Una tornerà presto in Argentina, l’altra cercherà di avvicinarsi all’Oceano.

Dall’impasto indistinto del cosmo, fluido cieco e sordo: ecco il mondo, solidificatosi in terra, brulla, spesso deserto rossastro; l’aria, per lo più nuvolaglia, livida tra spiragli di celeste; il mare, enorme magma pronto a fagocitare ogni cosa, che suona la sua musica, mostra il suo visibilio: il cinema. E sin dall’inizio Theresa dice di questa genesi, parlando di una leggenda della Nuova Guinea, che allora non può che essere genesi cinematografica, visibilio, canto degli elementi, delle sostanze, delle entità dedite al loro mistero insolubile, al segreto del loro persistere.

Eppure già nella prima parte di questo film miracoloso di Helena Wittmann si apre uno strano oblò sul soffitto dell’appartamento di Theresa, nel Mare del Nord: un’apertura che invita a guardare nel baratro del film, per rinvenirne segni di quell’enigma, il fluire dello spazio-tempo, la durata e il senso del viaggio. Theresa guarda nello schermo dell’oblò ciò che sta per cominciare e che da lì si ordina in una serie di indizi: il mare in lame di acqua ghiacciata, biancastra a riva; spume di neve in balia di risacche; piccole figure umane che formicolano a caso sulla spiaggia, rapprese nei loro cappotti neri; e foto alle pareti.

Non sono tracce di un passato marittimo, che riguardi magari la ricerca delle conchiglie, ma di un futuro che è la carne e il canto del film che sta per arrivare: il viaggio dall’altra parte dell’Oceano e ritorno, intrapreso per la prima volta, nella perenne prima volta del cinema. È una deriva iniziata a partire dal distacco, nel momento in cui l’amica Josefina si trasferisce in Argentina: da lì, biciclette e tram in carrellate, in perdizione, diluizione; poi la città scompare e la solitudine di Theresa diviene mareggiata, vertigine, sobbalzo di bastimento.

Luigi Abiusi
(estratto dal catalogo della 32. Settimana Internazionale della Critica)

Come filmare il momento in cui il corpo diventa un elemento fra i tanti e abbandona se stesso? Come filmare un viaggio in cui un corpo ritorna a essere pura materia? Helena Wittmann, visionaria cineasta tedesca, tesa fra arte contemporanea e cinema del reale, inventa uno spazio filmico assoluto creando un’esperienza sensoriale senza pari. Un film nel quale si entra per perdersi.

Sinossi

Due donne trascorrono un weekend sul mare del Nord. Una delle due tornerà presto dalla famiglia in Argentina, mentre l’altra cercherà di avvicinarsi all’Oceano. A bordo di una barca a vela, attraversa l’Atlantico. Il tempo abbandona i sentieri battuti e l’onda lunga la culla verso un sonno profondo. Il mare prende il controllo del racconto. Quando riappare, ha ancora il vento fra i capelli, ma il terreno sotto i suoi piedi è solido. Lei ritorna e l’altra le chiede: “Sei cambiata?”.

Helena Wittmann (1982) è nata a Neuss, in Germania. Dal 2007 al 2014 ha frequentato la Hochschule für bildende Künste Hamburg (HFBK). Le sue opere, tra cui i cortometraggi Wildnis (2013) e 21,3° C (2014), sono state presentate in mostre e festival cinematografici internazionali. Drift è il suo primo lungometraggio.


di Luigi Abiusi - Settimana Internazionale della Critica
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