L’imbalsamatore

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l'imbalsamatoreA dare il senso più immediato ad un film elusivo come L’imbalsamatore di Matteo Garrone non è tanto il clima di morte che lo pervade (il mestiere del protagonista, un vero maestro nel costruire simulacri di vita con carcasse di animali), quanto il punto di osservazione scelto dal regista sin dalla prima inquadratura: la soggettiva di un abbordaggio amoroso visto con lo sguardo di un marabout, un uccello che si nutre di cadaveri. E’ una chiave di lettura precisa, perché già dall’inizio lo spettatore non sa chi sia più libero fuori e dentro la gabbia di uno zoo, e dove inizi e finisca lo spazio della vittima e del persecutore.

Dalla dura realtà delle prostitute nigeriane e degli extracomunitari clandestini (i film precedenti, SilhouetteOspiti) al mistero insondabile di una passione amorosa e senza sbocchi (il suo ultimo film,L’imbalsamatore), il cinema di Matteo Garrone non si stanca di esplorare il labile, illusorio confine tra la fuga nei sogni impossibili e il richiamo ai doveri anche più infimi, e film dopo film insiste nel rappresentare il margine sempre più angusto tra innocenza e desideri inappagati, salvezza e perdizione.

imbalsamatore interpretiIspirato a un fatto di cronaca nera accaduto a Roma qualche anno fa, L’imbalsamatore racconta un triangolo amoroso maledetto e destinato alla tragedia, e lo fa con i toni del fantastico e della favola nera, in cui non c’è riscatto. Peppino Profeta, il piccolo imbalsamatore protagonista del film (il bravissimo Ernesto Mahieux), pur umiliato e ricattato dalla camorra, che lo costringe ai lavori più abietti (infarcire di cocaina i cadaveri offerti alle sue cure), crede a un certo punto di poter recitare la parte dell’uomo di potere e di coronare così un sogno d’amore che invece gli sfugge dalle mani. E’ un falso movimento il suo, uno specchio truccato. Come lo è la fuga che i giovani protagonisti del film, Valerio e Deborah, si illudono di compiere, dal Villaggio Coppola (imitazione di un quartiere di lusso, una selva di palazzi affacciati sulla riva di un lago senza vita) fino al cuore della pianura padana, immersa nella nebbia e senza più punti di riferimento. Come lo è il sogno di un amore giocato solo sul sotterfugio, il sesso per interposta persona, il rimosso.

Matteo Garrone racconta una storia ma soprattutto una sensazione di vita, non propone nessuna morale ma mette in scena, benissimo, un impasse esistenziale che non lascia scampo. L’imbalsamatore è un “crime movie” che diventa un “melò” e viceversa, un film che sembra parlare di esistenze estreme, di destini segnati, e ci mette invece di fronte il nostro orrore quotidiano.


di Piero Spila
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