Le Deuxième acte
La recensione di Le Deuxième acte, di Quentin Dupieux, a cura di Marco Lombardi.

Come raccontare una contemporaneità così folle da far sembrare finzione la più (tragicamente) vera realtà? Attraverso una serie di matrioske, quasi lynchiane, che portano a un non senso complessivo, di matrice dadaista.
È così che l’apparentemente innocuo incontro di una coppia, con lei che vuole presentare il fidanzato (Louis Garrel) al padre, e il fidanzato che vuole sbolognare la fidanzata a un improbabile (perché grossolano) amico, si trasforma in una follia alla Monty Python: dov’è l’inghippo, visto che lei (Léa Seydoux) è bellissima? Quando l’amico se ne esce con alcune frasi politicamente scorrette, a proposito delle diversità sessuali, Garrel lo rimprovera, dicendogli che sono davanti a una macchina da presa: tutto sembra essere chiaro, siamo su un set i cui attori litigano sul serio, come succede nella vita reale.
La separazione tra finzione e realtà sembrerebbe essere garantita, senonché i litigi e il suicidio di un cameriere/attore che non riesce a versare il vino perché agitato dal suo primo set, sembrano essere troppo, quand’è che interviene un ragazzo con un PC sul quale appare la figura di un regista virtuale: il film è scritto e diretto dell’intelligenza artificiale, ecco il perché di cotanta follia.
Il set finisce, la vita continua, ed è proprio in questa riconquistata realtà che il padre omofobo si rivela essere il fidanzato dell’amico, mentre il cameriere/attore, giunto a casa, tenta di nuovo il suicidio… sarà di nuovo finzione, visto che il gesto compiuto è lo stesso di prima? La soluzione viene delegata a una lunga ripresa lungo quei binari che avevano consentito la realizzazione di due lunghi piani sequenza iniziali, ma questi binari non finiscono mai, cioè non portano a nulla, così costringendoci ad accettare questa definitiva promiscuità fra la presunta verità, e la sua rappresentazione.
Qualcuno avrà la (sana) tentazione di guardare fino alla fine i titoli di coda, alla ricerca di una nuova sequenza in grado di spiegare, ma nulla apparirà più, a sancire definitivamente il senso claustrofobico di un film che rinuncia a spiegare l’inspiegabile, facendoci pure spesso ridere di questa complessiva follia. Grande, questo ultimo film di Quentin Dupieux, Le deuxième acte.

di Marco Lombardi