Vajont

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vajontL’opera di Renzo Martinelli sulla tragica vicenda della diga del Vajont provoca, in chi guarda, uno stato d’animo simile a quello già provato, quest’anno, di fronte ad un film come Territori d’ombra diPaolo Modugno.
In entrambi i casi, si apprezza l’impegno civile del regista, ma non si può parlare di grande cinema.
Anche Martinelli, infatti, pur partendo da un budget di 18 miliardi e da un cast internazionale, o forse proprio per questo, realizza, alla fine un prodotto documentato e dignitoso ma più adatto, probabilmente, alla TV che non al grande schermo.
In modo particolare, la storia d’amore tra il geometra “buono” e la sua donna è raccontata secondo gli stereotipi e le modalità della più banale fiction televisiva. Persino un’attrice misurata come Laura Morante, nei panni dell’agguerrita giornalista Tina Merlin, rischia di essere, in qualche sequenza, sopra le righe. Daniel Auteil, nel ruolo del perfido ingegnere, perde tutto il suo fascino e finisce per assomigliare, fisicamente parlando, ad un noto mezzobusto della TV.

Le figure più interessanti e coinvolgenti di questo film corale risultano, infine, essere l’ingegnere Mario Pancini, interpretato da un bravoLeo Gullotta, e il figlio dell’ingegnere della Sade che tenta, seppur timidamente, di opporsi al padre e ai suoi amici senza scrupoli. In definitiva, anche Martinelli, come questi suoi personaggi, nonostante le buone intenzioni, non riesce ad assumere una posizione netta, assoluta, rigorosa. Il risultato complessivo è quello di un film, comunque utile e importante, ma con troppe concessioni al presunto gusto del pubblico medio.


di Mariella Cruciani
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