Il Petroliere
L’uomo, protagonista assoluto dell’ultimo film del giovane regista Paul Thomas Anderson, rivelatosi autore di talento con Boogie nights e successivamente con Magnolia, non è un petroliere qualsiasi, ma un cercatore di petrolio, un autentico pioniere di quello che diventerà nel ventesimo secolo la più potente industria del pianeta, per il controllo della quale si continuano a combattere assurde guerre “preventive” e “umanitarie”.
I primi dieci minuti del film sono da antologia della storia del cinema per il rapporto fra immagine, totalmente priva di parlato, e commento sonoro, di una modernità che raramente trova riscontro nel cinema americano, dominati da continui primi piani che non lasciano emergere alcun elemento che non sia quello degli uomini e dei pozzi di petrolio, della fatica e del sangue. Il regista, in questo folgorante inizio, pare ispirarsi alla grande tradizione del documentario, da John Grierson a Robert Flaherty, sebbene in seguito ritrovi il filo della grande tradizione narrativa americana degli anni trenta, che culmina in autori come William Faulkner, John Steinbeck o Sherwood Anderson.
Quanto alla storia, si può dire che essa è il ritratto a tutto tondo di un uomo dominato da un puro istinto di dominio, nel quale tuttavia, convivono l’istinto familiare e quello della violenza, elemento fondante nella società americana, fin dai tempi della Frontiera. Di tale violenza il protagonista del film è campione assoluto: egli la manifesta, drammaticamente e nel contempo grottescamente, nei confronti del giovane predicatore fanatico che al principio gli era compare, verso suo figlio che pubblicamente venerava; l’oscura metamorfosi di questo personaggio fa da suggestivo contrappunto alla staticità della storia che sembra confinata entro i limiti di un deserto reale, ma soprattutto allegorico.
Insomma, ecco il ritratto inquietante e profetico dell’americano e dell’America che verrà dopo, di quell’America profonda e irrazionale in cui aggressività e violenza è parte integrante della vita quotidiana. Quell’America che ritroviamo nei Coen di Non è un paese per vecchi, 2008, (attualmente in programmazione alla sala Mercurio del Miv) e in altri autori importanti, a riprova del fatto che, paradossalmente, sia il miglior cinema americano che il peggiore, non esisterebbero senza la violenza, e che senza di essa non esisterebbe l’America.
Il film è dedicato a Robert Altman che di Anderson fu maestro di indipendenza e d’intelligenza critica.
di Maurizio Fantoni Minnella