Il gladiatore II
La recensione di Il gladiatore II, di Ridley Scott, a cura di Emanuele Di Nicola.
Ridley Scott a 86 anni torna sul campo di battaglia. Ventiquattro anni dopo la morte di Massimo Decimo Meridio, ossia Russell Crowe, insomma il primo gladiatore. Roma, come si conviene, è dominata dalla violenza e della corruzione, imposte dalla dittatura dei due imperatori gemelli, Geta e Caracalla. Nella smania di potere di questo mostro a due teste, il generale Marco Acacio col volto di Pedro Pascal conquista la Numida, dove – tra i prigionieri – viene condotto nell’urbe anche Annone, col viso e corpo di Paul Mescal. L’amata moglie Arishat è stata uccisa proprio dall’attacco di Acacio… L’ovvia conseguenza è la volontà di vendetta. Il neo-schiavo viene affidato al mercante Macrino, lo stratega Denzel Washington, da qui alla trasformazione in gladiatore il passo è breve: Annone si mostra tenace negli scontri, quasi imbattibile, e non potrà fare altro che impugnare il gladio. Il suo obiettivo segreto è vendicarsi di Acacio, ma la questione si estende e si complica: Annone è il figlio segreto del mitico gladiatore, e anche il bersaglio si rivela sbagliato, il problema non è il generale ma il sistema feroce e corruttivo imposto dai subdoli gemelli, ai quali vuole sostituirsi proprio Macrino…
Sono piovute facili critiche su Il gladiatore II, ma al film non importa e vola in testa al box office. Come d’uso in questi casi, si rispolvera la consueta polemica storia sulla plausibilità nella ricostruzione, i presunti “errori”, le virate nel fantastico e così via. La verosimiglianza storica, però, è qualcosa che l’opera non cerca nemmeno lontanamente perché non saprebbe che farsene. Sono altri i motivi per cui Il gladiatore II è un film grande, a tratti meraviglioso. A partire dai titoli di testa imprescindibili, che citano l’originale e attestano il crollo del “Roman Dream”. Ma cos’è davvero questo sogno? E chi lo sta sognando? Al di là della retorica del peplum, delle frasi nei dialoghi di genere, Ridley Scott in realtà non ce lo racconta ma ce lo fa vedere: una giostra di invenzioni visive che coltiva l’animal horror, dalle scimmie assassine al rinoceronte culminando nello shark movie con gli squali che nuotano nel Colosseo. Si tratta di un re-enactment che diventa un film nel film con tanto di regista, ovvero l’imperatore che annuncia lo spettacolo (“Rifaremo la battaglia di Salamina!”).
Attenzione: ogni immagine è digitale, perfino le onde del mare. È tutto falso e tutto vero. Perché nella parabola di Annone si impone proprio il primato dell’immagine, quella ritornante e gemellare: gli imperatori gemelli, ma duplicati sono anche Mescal e Crowe, Mescal e Pascal (casting non a caso), perfino Connie Nielsen doppia se stessa da giovane. Il racconto che inizia col futuro gladiatore che smaschera l’ipocrisia con Tacito (“Dove fanno il deserto lo chiamano pace”) ed esorcizza attraverso Epicuro (“Se c’è la morte non ci siamo noi”). Poi avanza con un’esaltante progressione splatter: teste tagliate, braccia mozzate… Un film contemporaneo, un film di oggi estremamente in tempo per due motivi: perché racconta il collasso della civiltà mangiata dalla guerra e perché ripone una fiducia infinita nell’immagine, quella falsa-vera di fine 2024. L’unica possibile. Come e più di Coppola, qui c’è l’utopia di una visione che possa falsificare la Storia in nome di un’arte che non molla e ristabilisce il primato. Ridley Scott sa che ciò che sta facendo è davvero importante: l’abbiamo capito che il Roman Dream è il sogno del cinema?
di Emanuele Di Nicola