Grazie per la cioccolata (Merci pour le chocolat)
Se Fassbinder ripeteva, in ogni occasione, di far film per combattere il fatto che la gente si sposi e metta al mondo figli in modo sconsiderato e se Lars Von Trier, attualmente, dichiara che il suo cinema non serve altro che a raccontare di sua madre e di come lo abbia tradito, tuttavia nessuno dei due autori citati può competere con Claude Chabrol e l’odio, il rancore, il rifiuto da lui mostrato nei confronti dell’istituzione familiare nel recente Grazie per la cioccolata.
La famiglia, come la cioccolata del titolo, dovrebbe nutrire e scaldare: in realtà, nasconde il veleno ed uccide o, nel migliore dei casi, addormenta.
E’ esattamente questo quello che accade a tutti i protagonisti dell’ultima opera del regista francese: ognuno di loro è rigorosamente invischiato in relazioni familiari laceranti e opprimenti. Non a caso, prima dei titoli di testa, c’è un brevissimo prologo nel quale si assiste alla celebrazione del rito nuziale: come dire che tutti i guai, passati e a venire, dei personaggi originano da qui.
Un possibile scambio di neonati, avvenuto venti anni prima, mette a nudo e sconvolge l’equilibrio precario di due famiglie. La prima è composta dal celebre pianista André Polonski, da suo figlio Guillaume, avuto dall’ex moglie defunta, e dall’attuale sposa Mika Muller, direttrice dell’azienda di cioccolato omonima. La seconda è formata, invece, da una dottoressa vedova che si occupa di medicina legale e da sua figlia, pianista in erba.E’ quest’ultima che, eccitata dalla possibilità di essere la figlia naturale del famoso Maestro, si introduce nella sua vita, provocando, come l’Ospite misterioso in Teorema di Pasolini, una serie di reazioni a catene.
Chabrol non risparmia nessuno dei suoi personaggi: la giovane pianista, pur con tutta la sua esuberanza, deve lottare per prendere le distanze da una madre che non vuole staccarsi da lei.
Guillaume, certamente aiutato dalla cioccolata della matrigna, è comunque quasi sempre in uno stato di torpore che gli serve per difendersi dalle eccessive aspettative paterne.
Tra la ragazza e l’ipotetico padre si stabilisce un rapporto ambiguo, carico di implicazioni edipiche. Mika Muller, apparentemente spietata, si rivela, alla fine, per quello che realmente è: un’altra vittima, forse la prima, dell’istituzione famiglia. Durante un pranzo, lei stessa confessa di essere figlia adottiva e, togliendosi per un attimo la corazza con cui si protegge dal mondo, apostrofa Guillaume, suo alter ego mite e remissivo, invitandolo a non litigare con i genitori. In definitiva, nessuno riesce a scampare a laceranti rapporti simbiotici e distruttivi giochi di potere.
Più gelido e, forse per questo, più tagliente di film analoghi sull’argomento come Roulette cinese di Fassbinder o Festen di Vintenberg,Grazie per la cioccolata sembra additare nella regressione l’unica possibilità per non soccombere alle richieste dell’ambiente familiare. Così, l’ultima sequenza ci mostra la terribile Mika Muller singhiozzare silenziosamente e, dopo la fine dei titoli di coda, rannicchiarsi in posizione fetale.
Solo rinchiudendosi in se stessi, sembra concludere Chabrol, in una specie di autismo distruttivo, si può fuggire a genitori castranti e a relazioni adulte che ripropongono ,inesorabilmente, gli stessi moduli infantili.
di Mariella Cruciani