Gatta cenerentola

La storia raccontata in questo bel film di animazione italiano giunge da lontano, grazie alle tradizioni orali campane, ed è conosciuta soprattutto per l’edizione fatta da Giambattista Basile – vissuto in Campania a cavallo tra il ‘500 ed il ‘600 – inserita nella sua raccolta Lo Cunto de li Cunti. Ma vi sono altre trascrizioni, fino al testo teatrale creato da Roberto De Simone nel 1976, basato sull’elaborazione fatta dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, gruppo di cui faceva parte anche lo stesso musicista napoletano. In tutte le trasformazioni, però, rimane sempre una fiaba per adulti dove la violenza viene considerata accettabile come mezzo di rivalsa verso i cattivi. La modernità di ciò che raccontava è posta in evidenza dal lavoro fatto dalla Mad Entertainment di Napoli che ha schierato quattro dei suoi registi – coinvolti completamente anche nella scrittura – per meglio raccontare temi di assoluta drammaticità con un taglio che ricorda la sceneggiata nell’impostazione musicale ma anche nella durezza degli sviluppi.

Vari personaggi muoiono ammazzati, le sorellastre di Cenerentola sono “malefemmene” che all’occorrenza si prostituiscono o uccidono.  Una di loro che è un femminiello”. Il boss senza cuore ma dall’aspetto gentile – Salvatore Lo Giusto, detto ‘o Re – canta in vari momenti, trovando in questa maniera la via più diretta per esternare la sua perfidia, il suo modo di intendere la vita come un insieme di occasioni, anche criminali, che devono essere sempre sfruttate al massimo. Il buono, l’eroe che sfida tutto e tutti pur di salvare Cenerentola (il personaggio in realtà si chiama Mia) e far trionfare la giustizia  (dal nome evocativo Primo Gemito),  è un poliziotto sotto copertura che all’inizio della vicenda cura la sicurezza della figlia del ricco armatore e quindici anni dopo torna sulla nave dove è segregata per salvarla ma anche per eliminare per sempre i traffici di Lo Giusto. La matrigna è un’affascinante sciantosa di cui il padre cinquantenne della ragazza si innamora e che sposerà segnando la sua nefasta sorte. È una donna non completamente cattiva – vorrebbe evitare l’uccisione del suo sposo – ma che accetta qualsiasi cosa per garantire ai figli un futuro fatto di benessere. Il buono e ingenuo Vittorio Basile incarna in sé il positivismo di un imprenditore che crede nella sua Napoli, che ha creato una nave iper tecnologica con cui vuole trasformare il porto e tutta la città in un’oasi di benessere per tutti. È scienziato, armatore ma, soprattutto, benefattore. Il suo cognome suona come omaggio allo scrittore Giambattista Basile che ha donato l’ispirazione al film.

Già in questa rilettura della fiaba c’è molto del valore del film, ma tutto è curato nei minimi particolari per dimostrare che le eccellenze del cinema (e della musica) possono albergare anche a Napoli, città troppo spesso identificata con una realtà a lei non confacente.
Anima del progetto e riferimento assoluto per esso, è Alessandro Rak. Il quarantenne fumettista e animatore napoletano è stato già autore dello sperimentale e affascinante L’arte della felicità (2013), vincitore del European Animated Feature Film quale migliore film d’animazione del anno.

Per sentirsi meglio ‘addosso’ Napoli, lavora e vive nei Quartieri Spagnoli dando vita a progetti che appaiono utopie fino a quando, contro ogni logica commerciale, vengono realizzati davvero. Ha creato nel 2001 assieme al collega e amico Andrea Scoppetta lo studio Rak&Scop con cui ha creato character designing, fumetti e animazioni sempre di ottima qualità.

Gatta Cenerentola è stato un lungo sogno, un progetto accarezzato e sviluppato per anni, ora divenuto una bella realtà che dona fiducia per un futuro dell’animazione italiana autoriale capace di raccontare storie anche adulte.

La bellissima colonna sonora è importante quanto le immagini e attraverso splendidi brani segna il ritmo del film stesso: ma sono le canzoni, con testi ricchi di significato, che fanno da asse portante a tutta la narrazione.

Tutto il film si sviluppa all’interno di questa nave ancorata da quindici anni nel porto di Napoli, che pian piano si trasforma in un relitto in cui vivono spiriti che aleggiano ovunque nella forma di inquietanti ologrammi. Ha una stiva che raccoglie il peggio della criminalità partenopea, ha un auditorium in cui si propongono sia il matrimonio dell’armatore che show della potenza di Lo Giusto, cabine lussuosissime per la matrigna e i figli con una priva anche di luce per Mia “Cenerentola”.

Questo bastimento che doveva portare la città alle eccellenze assolute rappresenta ora il fallimento del sogno di un uomo buono ucciso perché era ostacolo alle mire della malavita, è quasi un monito per chi vorrebbe cambiare il destino della città.

I temi sono duri e trattati in maniera diretta, il Male rischia sempre di avere la meglio sul Bene, portato avanti da coraggiosi che hanno contro di loro troppe forze bene organizzate. Il finale dona un filo di speranza, ma non per Napoli bensì per la ragazzina rimasta muta per il trauma dell’uccisione del padre.

L’animazione è raffinata, con colori molto carichi pregni di bellezza, sensualità ma anche di forte drammaticità. Gli scenari sono barocchi e ispirati al futurismo, ricchi di forte impatto visivo donato anche da una notevole profondità visiva delle immagini, i personaggi non indimenticabili ma sicuramente funzionali, la regia quasi perfetta.

Gli inquietanti protagonisti, che si aggiungono in maniera apparentemente occasionale alla vicenda narrata, sono le immagini che aleggiano ovunque, dei fantasmi di sogni passati, ricordi a tratti belli ma spesso drammatici, emozioni che possono condizionare anche la realtà, sproni per tentare di uscire da una situazione di stallo in cui è accettato il predominio della malavita.


di Furio Fossati
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