Conclave

Le recensioni di Conclave, di Edward Berger, a cura di Emanuele Di Nicola e Guido Reverdito.

La recensione
di Emanuele Di Nicola

Conclave è il classico film di cui non si può dire troppo, perché vive dei propri twist, il colpo di scena è un motivo costitutivo, una ragione di essere. L’idea nasce dal libro di Robert Harris, già responsabili di molti soggetti illustri, tra cui L’ufficiale e la spia. Edward Berger la raccoglie, dopo l’oscarizzato Niente di nuovo sul fronte occidentale, la filtra alla penna esperta di Peter Straughan, cambia genere e parzialmente anche sguardo: piomba nel thriller da camera, e qui la stanza – da titolo – è il conclave in cui i cardinali si riuniscono per eleggere il nuovo Papa dopo la morte del precedente. Si tratta però di un thriller graduale e meditabondo, che fiorisce proprio sull’elaborazione etica dei partecipanti. A fare da timone c’è Ralph Fiennes, ossia il cardinale Lawrence, chiamato a dirigere lo spoglio.

Intorno a lui troviamo i cardinali, ovvio, e in particolare una serie di caratteri che si candidano più o meno sotterraneamente al trono di Pietro: c’è l’italiano, Sergio Castellitto, rigidamente conservatore perché convinto che le aperture progressiste della Chiesa l’abbiano indebolita; l’americano, John Lithgow, nome forte ma che fu convocato da Sua Santità per un misterioso dialogo prima della morte; il candidato dell’Africa, Lucian Msamati, che all’inizio prende più voti ma anch’egli nasconde qualcosa, una zona scura nel passato; l’altro italiano Stanley Tucci, che glissa respingendo il papato e forse per questo ne è fortemente attratto; insieme a loro un candidato a sorpresa, sudamericano, arcivescovo di Kabul e cardinale nominato in segreto dal Papa uscente. Situazione complessa, dunque, a cui si aggiunge il cardinale Lawrence che potrebbe essere qualcosa di più di un umile mazziere. Come osservatrice attiva, infine, si insinua la suora interpretata da Isabella Rossellini.

Mentre il conclave comincia, coi tipici voti andati a vuoto e le fumate nere, intanto nella capitale si odono echi di possibili attentati: c’è stata una bomba in piazza Barberini, si dice… ma non si va oltre, perché l’attualità resta fuori dalla soglia allo scopo di proteggere l’autonomia del conclave. Berger dirige un cast all stars da cui distilla un racconto teso e compatto, che buca le due ore senza perdere la presa. Va detto che in filigrana prova a insinuare alcuni temi, come il destino della Chiesa oggi, l’essere Papa al tempo della nuova violenza, terrorismo e guerra, in più si affacciano gli scandali vaticani come la corruzione, i rapporti sessuali, l’omofobia e il maschilismo, l’ombra della pedofilia. Ecco, in questo il congegno è meno riuscito perché si limita a convocare i nodi per brevi cenni, ponendoli sul tavolo senza mai approfondirli, in modo solo nominale, insomma l’ipotesi di sfumatura sociale non s’imprime.

La sostanza sta proprio nel thriller, efficace e divertente, anche improbabili nelle continue rivelazioni che a tratti sfidano davvero la sospensione d’incredulità; ma cosa volete che sia la plausibilità davanti al gusto del genere… E poi basta uno scambio in originale tra Ralph Fiennes e John Lithgow per ripagare la visione. Obiettivo raggiunto, inoltre, grazie all’apporto decisivo di scenografie e costumi (Suzie Davies e Lisy Christl) che disegnano le stanze vaticane, col loro portato cineletterario di misteri, angoli bui e vesti di porpora che da sole formano una specie di inquietudine.

La recensione
di Guido Reverdito

Morto un papa se ne fa un altro. Detta così, sembra una faccenduola da poco. Al punto da essere diventato un modo di dire. Se non fosse che di mezzo c’è da passare attraverso le forche caudine del conclave, ovvero la riunione in strettissima clausura sotto le volte delle Cappella Sistina a seguito della quale i cardinali elettori nominano alla soglia di Pietro il successore del defunto. Il tutto non dopo una serie di acerrimi duelli tra opposte fazioni che riproducono in chiave religiosa qualsiasi processo elettivo in cui la ragion di Stato cede il passo ai sordidi giochi delle alleanze e delle convenienze politiche.

A dirigere le operazioni è chiamato il decano dei cardinali, il britannico Thomas Lawrence, il cui compito è quello di verificare che le votazioni si svolgano secondo le regole, ma anche di contenere lo sgomitare di tutti i potenziali candidati. Che di fatto si riducono a cinque: ovvero il progressista americano Aldo Bellini, l’ultraconservatore italiano Goffredo Tedesco, l’africano Joshua Adeneya (di cui si scopriranno non pochi scheletri nell’armadio), il canadese Joe Tremblay, e anche Vincent Benitez, cardinale sudamericano underdog che si aggiunge a sorpresa all’allegra brigata sostenendo di essere stato ordinato cardinale dal Papa appena defunto mentre era di stanza a Kabul, dopo anni di tribolato servizio in zone di guerra tra Congo e Iraq. Ma tra loro si muove furtiva e vigile anche suor Agnes, figura molto potente perché depositaria di molti innominabili segreti, ma soprattutto caricata a pallettoni dal risentimento che nutre nei confronti dell’universo maschilista del Vaticano in cui lei e le sue consorelle sono sempre tenute ai margini di ciò che conta.

Basato in maniera molto fedele sul romanzo omonimo pubblicato nel 2016 dal britannico Robert Harris, e presentato in anteprima in estate alla 51esima edizione del Telluride Film Festival, Conclave è un thriller ricco di colpi di scena a catena che entra a gamba a tesa nel mondo della Chiesa (e in quello che ne rappresenta una delle istituzioni più antiche e misteriose, ovvero l’elezione del nuovo Pontefice nella clausura della Cappella Sistina), presentandone i vertici decisionali come una sorta di ambigua società segreta in cui le rivalità e gli attriti personali tra quanti hanno in mano il futuro dell’intera comunità episcopale a livello planetario vanno a braccetto con le urgenze della politica e i giochi di potere che ne sono sempre il detonatore.

Diretto dal berlinese Edward Berger (Oscar come miglior film straniero per il pluripremiato Niente di nuovo sul fronte occidentale) e scritto dal drammaturgo inglese Peter Straughan (autore dello script del magnifico La talpa, per la regia di Tomas Alfredson che qui compare come uno dei produttori esecutivi di Conclave), questo thriller a porte chiuse presenta un cast di super star nei panni dei porporati in lotta per la nomina del nuovo Pontefice: se il decano dei cardinali nel ruolo di cerimoniere è un sempre strepitoso Ralph Fiennes, accanto a lui si muovono negli spazi sigillati della Cappella Sistina Stanley Tucci e Sergio Castellitto nei ruoli rispettivamente dell’americano liberale e dell’italiano ultra conservatore, John Litgow in quelli del canadese Trembley e Isabella Rossellini in quelli della grintosa suor Agnes.

Un cast forse fin troppo stellare (con divi non eccessivamente abituati a dividere gli spazi con colleghi di analogo blasone e per questo spesso portati a pestarsi i piedi per regalare al pubblico la performance da imprimere nella memoria), che a tratti rischia di far passare in secondo piano il messaggio di fondo che tanto il romanzo di partenza quanto il suo adattamento sullo schermo si prefiggevano di veicolare. Ovvero l’urgenza che la Chiesa romana ha di sopravvivere in questi anni di profondi mutamenti sociali e culturali, sforzandosi di arginare la delusione dei fedeli per il suo eccessivo attaccamento a triti valori ormai fuori dal tempo, ma allo stesso tempo di adeguarsi al mondo in cui viviamo, dando finalmente ascolto alle istanze più urgenti della contemporaneità (leggansi le donne, le diverse forme di sessualità o anche l’impatto delle varie immigrazioni). Anche se nel finale si esagera un po’ in questa direzione, eccedendo in materia di correttezza politica là dove lo spettatore si vede sbattere in faccia una traumatica rivelazione riguardante la sessualità del neoletto Pontefice che sarebbe però scorretto anticipare per il suo forte impatto a sorpresa. E se la mano di Berger è quanto mai felice nel disegnare gli spazi intenzionalmente claustrofobici in cui i suoi cardinali tramano e complottano come in un ginepraio di spie da guerra fredda, ad aiutarla in questa definizione di ambienti ci sono la colonna sonora del compositore tedesco Volker Berterlmann (le cui note accompagnano in maniera fortemente evocativa le varie fasi dei procedimenti elettorali esaltando con spruzzate di suspence i confronti/scontri tra i vari porporati in lotta per l’altissima posta in gioco), unitamente alla fotografia di Stéphane Fontain (professionista di culto non a caso ospite fisso sui set di registi sofisticati quali Jacques Audiard, Pablo Larrain e Paul Verhoeven).


di Emanuele Di Nicola e Guido Reverdito
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di Emanuele Di Nicola e Guido Reverdito
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