L’orchestra stonata

La recensione di L'orchestra stonata, di Emmanuel Courcol, a cura di Francesco Di Brigida.

Una carriera d’attore per Emmanuel Courcol, che dal 2000 si è espansa anche sulla scrittura, come sceneggiatore, e in regia. Era già suo Un triomphe, con Kad Merhad, vincitore dell’European Film Award come Miglior commedia nel 2020, traslato poi come remake italiano nel 2023 da Riccardo Milani nella commedia agrodolce Grazie ragazzi, con Antonio Albanese insegnante di teatro in un penitenziario.

Il titolo originale del nuovo lavoro di Courcol, L’orchestra stonata, è En fanfare, e in effetti racconta la storia di due vite agli antipodi che si ritrovano legate quasi per caso da alcune stonature che però diventeranno melodie. Thibaut è un giovane e autorevole direttore d’orchestra che per un malore scopre una leucemia curabile soltanto da un trapianto di midollo. Da qui la scoperta di essere un figlio adottivo, e quella ancor più sconcertante di avere un fratello in un piccolo paese del nord francese. Dall’incontro salvifico con questo nuovo fratello donatore, un giovane operaio dal cuore buono ma tempestoso, verranno fuori affinità imprevedibili, soprattutto quella musicale.

Scritto da Courcol insieme a Irène Muscari, En fanfare contiene i tratti della commedia sociale, del film musicale e del dramma familiare. Un po’ come La famiglia Belier pone lo spettatore tra personaggi dai caratteri opposti, ma il regista di Angers, oltre a un’osservazione profondamente empatica ma allo stesso tempo lucida della malattia, ci fonde armonicamente la lotta operaia contro la chiusura della fabbrica e il tema della famiglia allargata. Ottiene così una session emotiva entusiasmante e perfettamente congegnata attraverso colpi di scena che immergono sempre più in una storia attualissima e realista. Infine la terza protagonista è la musica. Suonata, spiegata, sudata, studiata e ballata. Da Offenbach ad Aznavour, da Mendelssohn alla dance anni settanta di Dalida, dalla tromba jazz di Benny Golson a Giuseppe Verdi, da Ravel ai moderni suoni elettronici di Frank Woodbridge l’incontro scenico tra i fratelli protagonisti fa scintille. A partire dagli ensamble orchestrali e bandistici. Li impersonano Benjamin Lavernhe, attore raffinato della Comédie Française, e Pierre Lottin, portamento da bell’imbusto con faccia da schiaffi, ma gli occhi pieni di rabbia e bontà come un Brad Pitt transalpino.


di Francesco Di Brigida
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