A Serious Man

Non sappiamo se A Serious Man sia il film più riuscito di Joel e Ethan Coen; magari qualcuno potrebbe citare opere come Barton Fink, Fargo, L’uomo che non c’era e Non è un paese per vecchi. Abbiamo però la netta sensazione che A Serious Man sia il lungometraggio più sincero e profondo che abbiano mai fatto. Più sincero perché raccontano con complessa ironia e partecipazione emotiva il mondo dal quale loro stessi provengono, la realtà che ha rappresentato la loro formazione culturale e la loro giovinezza. Più profondo perché dietro un’impostazione come al solito grottesca e paradossale si nasconde un’angosciosa riflessione sul senso dell’esistenza e sulla presunta forza salvatrice della religione.
Attenzione però, i Coen non hanno realizzato un film anti religioso, hanno invece posto in essere un ragionamento visuale e narrativo sulla solitudine degli esseri umani su questa terra, sulla loro condizione di sofferenza, sulle prove terribili che la vita pone lungo il cammino di ogni individuo. Certo, il clima del film è cupissimo, senza speranza, e non lascia spazio a nessuna visione positiva sulle relazioni umane e sul destino dei singoli. Ma il pensiero dei fratelli Coen si spinge ben oltre e solleva problemi apparentemente più piccoli, contingenti, ma in verità connessi fortemente alle questioni centrali che regolano il mistero della vita (addirittura di tipo teologico).
A Serious Man è caratterizzato da numerose domande sotterranee. Ha senso in questa realtà scriteriata un comportamento corretto e onesto? Siamo noi ad attirare i nostri mali oppure è la società ingiusta? Perché il destino si accanisce verso alcuni individui mentre ad altri riserva un’esistenza dorata? Si può trovare sollievo in una visione religiosa della vita? E così potremmo continuare a lungo.
Quest’ultima prova dei fratelli Coen è dunque estremamente tragica, dolorosa; è un coltello rigirato nella ferita esistenziale di tutti noi.
La connotazione ebraica che i registi di Minneapolis (città dove la vicenda è ambientata) hanno voluto dare a loro film, era assolutamente necessaria per consentire ai due fratelli di esprimersi in un territorio a loro familiare, noto, che potesse permettere di affrontare temi così giganteschi attraverso l’abitudine ad utilizzare strumenti di analisi di un certo tipo di pensiero che loro stessi conoscono a perfezione. La riflessione ironica, la ricerca di una corrispondenza di significati tra elementi diversi, il desiderio di approfondire, di comprendere ogni cosa, quello di interpretare la realtà in maniera minuziosa, sono tratti di una cultura di straordinaria forza che i Coen hanno nel loro bagaglio personale e che erano già comparsi nei loro precedenti film; in questo caso però hanno trovato una loro collocazione in un contesto creativo molto preciso, inequivocabile, limpido. Ciò che forse qualcuno troverà non perfettamente aderente al loro stile, è una chiara tendenza a esprimersi attraverso una misura formale di grande equilibrio. Ma anche questo è un punto di forza del film, la capacità dei Coen di costruire un tessuto di assoluta stabilità espressiva dando allo stesso tempo massima esaltazione alla loro poetica e ai meccanismi culturali che hanno rappresentato la base intellettuale di questa operazione artistica.
A Serious Man è un film dove più che ridere si sorride, amaramente, a causa di una tristezza interiore che pervade lo sguardo del fruitore, messo costantemente a confronto con l’assurdità della vita e con i ridicoli sforzi che ogni essere umano fa per scacciare ogni pensiero negativo. La visione ebraica dell’esistenza (non in senso strettamente religioso) viene descritta da Joel e Ethan Coen come una possibile chiave di lettura del mondo, come una strada forse non risolutiva ma valida ad attraversare ogni tipo di contrarietà, come un copione in parte già scritto pieno di punti di sostegno utilizzabili da chiunque.
Nel mezzo di questa struttura contenutistica gli autori piazzano un’altra questione importante, come quella relativa al razzismo strisciante presente dentro la società americana. Il personaggio principale, Larry Gopnik, è ossessionato da un vicino un po’ nazistoide, che a sua volta cerca di aiutare Larry quando viene minacciato da un individuo sud-coreano. Si tratta di una scena di inestimabile intelligenza, sottile, e tremendamente tragica che evidenzia la contraddizione esistente nella società USA, totalmente multietnica e multireligiosa ma attraversata da venature nascoste di xenofobia.
A Serious Man si avvale di un cast di alto livello: a cominciare da un toccante Michael Stuhlbarg, nei panni dello sfortunato Larry Gopnik, fino a Sari Lennick, nel ruolo dell’ossessionante moglie di Larry.
Eccezionale il prologo cha apre il film. Si tratta di un vero e proprio “luogo filosofico” dell’opera, un antefatto ambientato in un villaggio ebraico dell’Europa dell’Est nel quale i protagonisti parlano in yiddish, la lingua utilizzata dalle comunità ebraiche dell’Europa centro-orientale che rappresenta il cuore culturale di una tradizione ebraica ricchissima e di eccezionale importanza storica, filosofica e letteraria.
Per concessione di Cultframe – Arti Visive (www.cultframe.com)
di Maurizio G. De Bonis