Non riattaccare
La recensione di Non riattaccare, di Manfredi Lucibello, a cura di Valeria Gennaro.

Dall’11 luglio arriva in sala il secondo lungometraggio di Manfredi Lucibello, prodotto da Mompracem, in collaborazione con Rai Cinema e Rosebud Entertainment Pictures, e liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Alessandra Montrucchio. Il film è stato presentato all’ultimo Torino Film Festival, dove la protagonista Barbara Ronchi si è guadagnata la menzione speciale come miglior attrice.
Non riattaccare inizia con una scena d’apertura che è una mappa per orientare chi guarda nel mondo di Irene (Barbara Ronchi) e che raccoglie una serie di elementi che il regista ci farà ritrovare in seguito nel film, e anche nel finale che in qualche modo si ricollega circolarmente alla scena inziale.
Manfredi Lucibello realizza un noir essenziale, che funziona cioè con pochi elementi, attori e ambienti; costruisce un dialogo non solo tra i due protagonisti, Irene e Pietro, ma anche con lo spettatore, raccontando di una notte straordinaria vissuta da due persone normali alle prese con le loro paure e le loro fragilità e portando sul grande schermo un road movie ad alta tensione che complessivamente funziona e riesce a tenere con il fiato sospeso fino alla fine, grazie soprattutto all’ottima prova di Barbara Ronchi e alla parte più emozionante della sceneggiatura affidata all’attore Claudio Santamaria.
Dopo Tutte le mie notti, il regista fiorentino ripropone alcune delle sue ossessioni: di nuovo un viaggio inaspettato lungo strade desolate, l’atmosfera claustrofobica e angosciante; e soprattutto l’elemento della notte, che stravolge ogni cosa in un’opera noir che ci fa accedere agli animi altrettanto desolati di Irene e di Pietro. Un film che guarda anche a Locke di Steven Knight e riesce a suscitare emozione. Perché, come la vita, Non riattaccare è un viaggio emozionale nella notte.

di Valeria Gennaro