Coppia aperta quasi spalancata

La recensione di Coppia aperta quasi spalancata, di Federica Di Giacomo, a cura di Guido Reverdito.

Coppia aperta quasi spalancata è il titolo di una fortunatissima pièce teatrale scritta da Franca Rame con la collaborazione di Dario Fo nel lontano 1982, ma da allora divenuta un evergreen sui palcoscenici non solo di casa nostra, ma anche di molti teatri in giro per il mondo. Testo modernissimo non ostante i suoi quarant’anni suonati, è una feroce anatomia di una crisi di coppia: con un marito fedifrago che – per giustificare le proprie marachelle extraconiugali – cerca di convincere la moglie circa i benefici e la necessità di rivitalizzare il matrimonio rendendo la coppia aperta. Dopo un inizio riluttante, la donna riesce a trasformare indignazione e frustrazione in una preziosa occasione di crescita personale e di emancipazione, destinate a regalarle maggiore indipendenza e consapevolezza di sé, minando però allo stesso tempo le certezze del marito fedifrago (che si scoprirà a sua volta geloso) e facendo emergere tutte le disparità di genere e le contraddizioni contenute nella sua concezione del rapporto di coppia.

A riprendere in mano questo testo di culto è stata l’attrice, scrittrice, giornalista e presentatrice televisiva fiorentina Chiara Francini: dopo averlo portato in scena per anni, ha deciso di proporne un’originalissima rilettura a metà tra il meta-cinema e il documentario, nel quale interpreta il duplice ruolo della protagonista della pièce e di se stessa nella vita reale. Così come sospesi in questo insolito ibrido tra realtà e finzione letteraria sono tanto il suo partner sulla scena (ovvero Alessandro Federico, visto in molte fiction TV di successo) e quello nella vita, quanto tutte le persone che compongono il suo entourage familiare, così come gli spettatori che assistono a varie repliche dello spettacolo e commentano a caldo gli snodi del testo, fornendone un’involontaria rilettura in un coro di voci in cui viene dato spazio a generazioni lontanissime l’una dall’altra.

Una rilettura che – partendo dal tema spinoso della coppia aperta tipico di certe ossessioni ideologiche targate anni ’70 – permette al mix di attori e persone reali di confrontarsi con nuove forme di relazione amorosa (su tutti il concetto della cosiddetta polecola, ovvero la famiglia poliamorosa in cui un partner convive con più meta-amanti), osservandole da vicino e al tempo stesso sfruttando l’occasione di questo confronto dialettico per riflettere sulla propria interiorità e sulla propria posizione nei confronti dei nuovi scenari della vita affettiva con cui la società del giorni nostri ci chiede di confrontarci senza più nasconderci dietro il dito del perbenismo e della tradizione.

Cosa che Francini (qui anche produttrice con Nemesis, la casa da lei fondata lo scorso anno) fa molto bene, senza prendere mai dichiaratamente posizione, e ritagliando per se stessa il ruolo – a tratti esilarante ma nel quale in molti non faranno fatica a identificarsi – della quarantenne vagamente bacchettona e reazionaria, incapace di accettare che la vita di coppia possa diventare una sorta di coabitazione condominiale e i ruoli stabiliti da secoli di tradizione patriarcale vengano stravolti da certe urgenze di apertura totale non condivisibili da tutti.

Scritto da Francini a sei mani con Mario Sesti e la regista Federica Di Giacomo (documentarista spezzina di lungo coso, che in laguna aveva vinto la sezione Orizzonti nel 2016 con il documentario Liberami, incentrato sul forte aumento del fenomeno degli esorcismi in Italia), dopo aver aperto le Giornate degli autori a Venezia di quest’anno prima di uscire nelle sale, pur nella sua inevitabile natura di helzapoppin sperimentale a cavallo tra generi non sempre facili da far convivere, questo prodotto piuttosto insolito per il cinema delle nostre parti ha il merito indiscusso di bilanciare l’andamento a ritmo di montagne russe che caratterizza la sceneggiatura con la capacità di sollecitare nel pubblico una riflessione necessaria su argomenti scottanti che non possono più essere catalogati solo come bizzarrie di importazione d’oltreoceano.


di Guido Reverdito
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