Dadapolis

La recensione di Dadapolis, di Carlo Luglio e Fabio Gargano, a cura di Ignazio Senatore.

C’era una volta “Dadapolis” (1992), volume a cura di Fabrizia Remondino e Andreas F. Muller, che raccoglieva testimonianze e commenti su Napoli, nei secoli, di scrittori, poeti, artisti, visitatori, filosofi e politici. I registi Carlo Luglio e Fabio Gargano, invece, nel loro Dadapolis, doc presentato alle Giornate degli Autori, chiedono a sessanta artisti contemporanei di narrare la loro città natale. Si alternano sullo schermo personalità già affermate (Lino Musella, Peppe Lanzetta, James Senese, Guido Lombardi, Enzo Moscato, Cristina Donadio, Tonino Taiuti, Nello Daniele, Jorit…) e tanti giovani artisti (fotografi, pittori, scultori, registi).

Diverse le prospettive, che offrono uno spaccato variegato di una delle città più rappresentate e decantate al mondo. I registi dividono l’opera in quattro quadri (terra, fuoco, aria, mare) e piuttosto che mostrare la classica Napoli da cartolina, con i vicoli o le bellezze mozzafiato del golfo, scelgono una zona portuale, semiabbandonata e deserta. Ma a ben vedere, Luglio e Gargano, più che l’ennesima riflessione su Napoli, sempre più ricca di fermenti, puntano il dito sulla figura dell’artista ai giorni d’oggi, in bilico tra la ricerca del mercato e quella della piena (e a volte poco redditizia) libertà espressiva. Più che i commenti dei tanti artisti, in verità, il vero punto di forza del doc è legato ai magnifici brani interpretati da giovani e sconosciuti musicisti.


di Ignazio Senatore
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