Un altro me. Un film di Claudio Casazza. 57. Festival dei Popoli.
Ad aprire la 57. edizione del Festival dei Popoli di Firenze è il documentario di Claudio Casazza, estremamente diretto, impostato attraverso un sistema comunicativo leggibile ma non banalizzante.
Il 25 novembre 2016 aprirà la 57. edizione del Festival dei Popoli a Firenze. Sarà l’occasione per vedere un film di indiscutibile spessore che aprirà l’intera manifestazione: Un altro me.
Documentario estremamente diretto, impostato attraverso un sistema comunicativo leggibile ma non banalizzante, quest’opera di Claudio Casazza rappresenta per lo spettatore una vera e propria esperienza, non solo dello sguardo. Si tratta di una testimonianza, apparentemente algida ma in verità profonda, che fa entrare in correlazione lo spettatore con il buco nero della violenza, con l’abisso del sopruso di un essere umano su un altro individuo, con l’assurdità della sopraffazione fisica sulle donne e sui minori.
La struttura del racconto è puntuale, tesa, limpida. Ci troviamo nel Carcere di Bollate a Milano. Un gruppo di terapeuti tenta di mettere in atto un recupero psicologico e umano di alcuni soggetti che si sono macchiati di crimini orrendi, in particolar modo di carattere sessuale. Possiamo così assistere a un percorso interiore, delle persone che partecipano, molto intenso ancorché guidato sapientemente dagli operatori carcerari.
Si delinea nitidamente man mano che procede la vicenda la condizione di chi è stato condannato per delitti così riprovevoli, una condizione che alcuni di loro tentano quasi disperatamente di sminuire.
Quella presente nel film è un’analisi lucida, seria, caratterizzata da un mix di dolore e squallore che solo un terapeuta esperto può essere in grado di gestire. Le sedute di gruppo sono dei veri e propri confronti tra punti di vista diversi ed è estremamente interessante accorgersi come gli psicologi riescano lentamente a far emergere in queste persone una coscienza e a far avere loro la percezione esatta dell’orrore che hanno generato e del dolore che hanno provocato alle loro vittime e alle loro famiglie.
I detenuti, seppur costantemente inquadrati, sono sempre quasi invisibili, avvolti in sfocature doverose che nascondono le fattezze dei loro volti, mentre i primi piani sono rivolti ai terapeuti, al loro incredibile controllo, alle loro espressioni trattenute, ai loro occhi pensosi.
Le riprese degli incontri sono alternate a inquadrature fisse realizzate all’interno del carcere. Angoli vuoti, finestre, muri, sbarre, serrature, piante, ma anche disegni che gli stessi detenuti realizzano nell’ambito di un processo di recupero.
Il silenzio sembra regnare in questi spazi asettici e vacui, solo in lontananza si odono delle voci che sembrano evocare una fiammella di vita. Non è facile seguire questo percorso accidentato svolto da esseri umani non in grado di rendersi perfettamente conto (ma forse alcuni di loro questa presa di coscienza l’hanno vissuta fino in fondo) della gravità inaudita degli atti per i quali sono stati condannati.
Il passaggio più interessante del film è, forse, quando la macchina da presa, con assoluta discrezione, segue uno dei condannati che esce per un permesso premio. Vediamo questa persona di spalle, seduta dentro a un autobus o che cammina nei corridoi della metropolitana. Percepiamo la pesantezza della sua storia nell’angoscia della sua solitudine, sentiamo la sua ansia trattenuta, la sua stessa paura di esistere, quasi di respirare, e di entrare in relazione con altri esseri umani.
Sotto questo punto di vista, il film di Claudio Casazza è un’opera lucida e precisa. Non c’è retorica , nulla viene urlato o, peggio, spettacolarizzato. La macchina da presa, indaga e registra, sperando di cogliere, magari solo grazie a un dettaglio o a un gesto, la scintilla di un ravvedimento sincero che, in ogni caso, non potrà mai cancellare l’orrore delle violenze commesse da esseri umani su altri esseri umani.
Per maggiori informazioni:
festivaldeipopoli.org
di Maurizio G. De Bonis