Comunicati e pasticci

Il pasticciaccio brutto del Festival del Cinema di Roma si sta ulteriormente impasticciando. Un recente comunicato dell’ANICA, che nelle intenzioni voleva porsi come un contributo positivo, anzi, risolutivo, ha invece reso la situazione ancor più tesa e ingarbugliata. Questo perché i presupposti e le argomentazioni portate a sostegno della proposta avanzata dall’Associazione dei produttori cinematografici sono, da un lato, privi di logica e, da un altro lato, assai discutibili. Non a caso le prime reazioni sono state di dissenso: da parte di rappresentanti delle associazioni degli autori (ANAC e 100 Autori) e persino all’interno dello stesso settore produttivo (vedi in proposito le dichiarazioni di Domenico Procacci).

L’ANICA sostiene nel suo comunicato che, al punto in cui si è arrivati per colpa della politica  (il che è vero, ma sarebbe stato più pertinente distinguere tra i diversi livelli di responsabilità partitica, e magari additare chi si è particolarmente distinto in sconfinamenti e prevaricazioni), “la sola e giusta soluzione rimasta, a cui peraltro si giunge nel peggiore dei modi,  sia la nomina di Marco Müller a direttore artistico”, in quanto “appare chiaro che la riconferma di Piera Detassis è superata per i veti incrociati”. Al riguardo non si può non osservare ciò che tutti sanno, vale a dire che i veti incrociati non riguardano soltanto Detassis – la quale, giustamente risentita, lo ha subito ricordato pubblicamente – ma anche Müller (appunto per questo motivo i veti sono “incrociati”). Ed è altrettanto noto che da questa situazione di stallo appare difficile uscire, e più difficile ancora uscirne bene, risultando al momento praticabili o un compromesso politico al ribasso, o una soluzione a colpi di maggioranza politica con inevitabili conseguenze negative. Dopo aver fatto ricorso a una premessa del tutto inesatta, l’ANICA, sempre nel suo comunicato, dichiara “di farsi carico di questa candidatura, anche per diventare garante della sua autonomia rispetto alle parti politiche”. Garante in che senso? In rappresentanza di chi? In base a quale nomina o mandato? L’autonomia di un’istituzione culturale qual è un festival cinematografico, e quindi l’autonomia delle sue scelte e della sua organizzazione, non dovrebbe essere garantita, prima statutariamente, e poi dagli stessi responsabili dell’attività che questa istituzione è chiamata a svolgere? E se proprio fossero necessari dei garanti esterni (cosa assolutamente da evitare: sarebbe appunto la dimostrazione di un’assenza o quanto meno di una carenza di autonomia), nel caso di un’istituzione culturale non sarebbero più garantistici dei rappresentanti di categorie culturali piuttosto che dei rappresentanti di categorie industriali? Per chi ha letto il comunicato dell’ANICA, le domande risultano meno retoriche di quello che possono sembrare.

Nel comunicato, infatti, si può leggere: “Serve che Venezia e Roma funzionino entrambe al massimo e conquistino presenze commerciali nel mercato internazionale”. Questa frase, il cui significato, lo confessiamo, non riusciamo a decifrare bene, lascia comunque trapelare una concezione dei festival come strumenti finalizzati, prioritariamente, all’industria e al mercato. Tuttavia, possono esserci altre categorie, o altre persone, le quali ritengono che i festival cinematografici, specialmente se sostenuti da denaro pubblico, debbano, prioritariamente, favorire la conoscenza e la promozione della cultura cinematografica, contribuire a rispondere positivamente alla domanda culturale del pubblico, agevolare la diffusione dei film artisticamente e culturalmente più qualificati. Insomma la funzione e la validità di un festival si dovrebbero misurare, innanzi tutto, sulla sua portata culturale e sulla sua  utilità sociale, e tanto meglio se poi, a tutto questo, si aggiungono positivi risvolti economici e commerciali. Queste sommarie considerazioni andrebbero maggiormente legate all’argomento specifico qui richiamato, in quanto il Festival di Roma, prima o poi, con Muller o Detassis o altri ancora, non dovrà soltanto cercare di perseguire al meglio quelle che dovrebbero essere le finalità essenziali di una manifestazione festivaliera, ma dovrà anche cercare di darsi una forte, differenziata, identità; un’identità capace di evidenziare e valorizzare la sua origine e la sua dimensione territoriale, ovvero, a fare della città il principale motore e il primo destinatario della propria attività. Il che comporta, ancora una volta, affrontare e risolvere problemi di ordine culturale e sociale; e insieme ribadisce una duplice esigenza: di minori pressioni partitiche e corporative; di maggiori aperture al confronto e alle competenze.


di Redazione
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