Un anno, una notte
La recensione di Vincenzo Palermo e la rassegna stampa a cura di Francesco Grieco per "Un anno, una notte", Film della Critica per l'SNCCI.
Un anno, una notte di Isaki Lacuesta, distribuito da Academy Two, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) con la seguente motivazione:
«Lui e lei sono sopravvissuti al massacro del Bataclan, ma da quella notte nulla è come prima: i ricordi, i dettagli, i pensieri sono quelli di un uomo e di una donna che non possono dimenticare. Lo spagnolo Lacuesta affronta il trauma di una delle tragedie del nostro tempo, dissolvendolo nello spazio di una città ferita e in un tempo frammentato: un movimento unico, tra passato e presente, sogno e realtà, in cui si annida, forse, la certezza di poter tornare a vivere».
La recensione
di Vincenzo Palermo
Ramón e Céline sono sopravvissuti alla strage compiuta il 13 novembre 2015 al Bataclan di Parigi. Incapaci di superare il trauma, i due ragazzi vanno avanti come possono, l’uno abbandonando il lavoro e aggrappandosi al doloroso ricordo, l’altra chiusa in un silenzio assordante e sempre pronta ad aiutare i ragazzi del centro di reinserimento sociale presso cui è impiegata.
Ispirato al romanzo di Ramón González Paz, amor y death metal, Un anno, una notte di Isaki Lacuesta manipola il tempo e le coscienze, agendo attraverso un’impostazione narrativa che decostruisce gli eventi anziché ricostruirli in modo ordinato. L’emblema di questo accorgimento è proprio uno scomposto bailamme, metaforicamente reso dall’inquadratura madre, all’apparenza lirica e gioiosa, in realtà presaga di morte: il pulviscolo che danza in apertura di film che, si scoprirà in seguito, è l’esalazione finale dei cadaveri riversi al suolo dopo la sparatoria nel locale parigino.
Il regista sembra volerci dire che il caos, generato dalla sciagura terrorista, non può che essere rappresentato come una danza scomposta in cui gli elementi si confondono tra loro, rendendo ambigua e sfaccettata l’intera architettura narrativa del film: le parole vuote di Ramón (Nahuel Pérez Biscayart) e la reticenza di Céline (Noémie Merlant), le ritmiche delle composizioni musicali del protagonista e il sogno musicale spezzato, l’orizzonte sconfinato di una giovinezza senza conforto e gli stretti palazzi di una città che ha perso se stessa, i riflessi dei protagonisti impressi negli specchi domestici e nelle vetrine parigine, l’immagine statica dei primi e primissimi piani dei personaggi incorniciati dal dolore. Il caos della rappresentazione filmica insegue le mille frammentazioni di un tempo che si accartoccia su se stesso e di uno spazio che si restringe fino a diventare l’angusta nicchia vitale che serve a Ramón per superare l’ennesima crisi di panico, o la stanza disadorna in cui Céline discute con un minore di nazionalità araba.
Lucido e immersivo, Un Anno, una notte erige il disordine – esistenziale e narrativo – a cifra stilistica del film, raccontando un dramma individuale e collettivo che non può essere superato attraverso la sublimazione di un ricordo condiviso, ma solo rielaborato in un intimo e sentimentale diario quotidiano.
Una breve rassegna della stampa italiana sul film
(a cura di Francesco Grieco)
Il film di Isaki Lacuesta ha ricevuto, nel complesso, dei buoni giudizi critici dalla stampa italiana, sia sui quotidiani che sulle riviste specializzate. L’equilibrio del film e la sua capacità di raccontare un mondo, un’epoca, attraverso vicende personali sono evidenziati da Fabio Ferzetti sull’Espresso: «mescolando passato e presente, memoria e immaginazione, ma soprattutto alternando con finezza i registri più diversi (lirico, elegiaco, domestico, drammatico, a tratti perfino comico), Lacuesta riordina il caos senza mai perdere di vista, anzi usando a meraviglia anche i lavori di Ramón e Céline, lui programmatore, lei assistente in un centro per ragazzi senza famiglia. Fino a disegnare in filigrana, dietro di loro, un’intera società». Anche per Cristina Piccino, sul quotidiano Il Manifesto, il film di Lacuesta coglie perfettamente lo spirito del tempo in cui viviamo: «in questo processo che si fa elaborazione del lutto, o almeno ne prende consapevolezza, il regista catalano mette in campo molte questioni che riguardano il nostro tempo, i suoi conflitti – ma sempre affidandosi al cinema, alla dimensione romanzesca che gli permette di evitare la retorica della materia trattata, i sentimentalismi, l’imposizione di una sola lettura dogmatica, in cui tutte le risposte sono pronte». Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera fa notare che Un anno, una notte «con una macchina da presa mobilissima, quasi nevrotica, ci mostra cosa successe quella notte al Bataclan, senza mai farci vedere i terroristi in azione, ma inseguendo i volti trasformati dalla paura di chi era in sala».
Ilaria Feole su FilmTv sottolinea la «sceneggiatura di chirurgica intelligenza» di un film che, come scrive Massimo Causo su Duels, «in gran parte glissa proprio sulla cronaca dei fatti, che resta esposta semmai solo nella forma soggettiva delle esperienze dei due protagonisti: gli attentatori restano fuori campo, gli spari risuonano sulle note del concerto e poi la scena si consegna al dramma della sopravvivenza, lo sbandamento, la paura, la fuga verso le uscite o verso il backstage, l’attesa che tutto finisca, i soccorsi, il rientro a casa». Un’osservazione analoga, riguardo a questa prevalenza del filtro personale dei due personaggi principali, a discapito della ricostruzione “giornalistica” dell’evento terroristico, la fa Simone Emiliani su Sentieri Selvaggi: «all’inizio di Un anno, una notte c’è il dettaglio sulle palpebre e i piedi. Alla fine due corpi. Potrebbe essere un flash che arriva da Alain Resnais o Marguerite Duras. Oppure quello del tempo infinito della ricerca della felicità di La maman et la putain di Jean Eustache. Ha molto del cinema Nouvelle Vague e post questo gran bel film girato dal cineasta spagnolo Isaki Lacuesta. Perché prima della storia, sono i sentimenti dei personaggi che parlano». Concetto ribadito da Caterina Viola sul sito di Cineforum: «è questo il punto focale della narrazione di Lacuesta: raccontare quella notte non come un resoconto dei fatti, ma raccontare la storia di due sopravvissuti che potevano essere chiunque tra noi e sublimarla a un’esperienza di dolore e guarigione, morte e vita, universale».
La riuscita del film sta anche nella coerenza tra queste scelte di sceneggiatura e lo stile adottato. Per esempio, Roberto Manassero su MyMovies spiega che «il montaggio è sconnesso, arbitrario, passa senza distinzione dalla serenità del passato alla paura del Bataclan e del presente. Il procedimento è simile a quello scelto da Mathieu Amalric in Stringimi forte (altro film dedicato all’elaborazione di un trauma), ma meno radicale, più impressionista e forse più irrisolto». E Raffaele Meale su Quinlan si sofferma sulla colonna sonora: «Lacuesta si adopera seguendo in effetti – e da qui il filologico utilizzo di Monteverdi – un procedimento che appare barocco nell’idea di rappresentazione di elementi realistici attraverso un procedimento immaginifico, così come nel principio di finzione: ecco dunque un andirivieni spazio-temporale che sussume il senso stesso del cortocircuito mentale in cui non possono che sprofondare i due protagonisti». Mauro Donzelli su Comingsoon aggiunge: «quello che colpisce e coinvolge di Un anno, una notte, è la dirompente sensorialità delle immagini, il bisogno tattile di appigliarsi ai corpi, ai sogni e ai ricordi, per superare qualcosa di estremamente violento ma anche diabolicamente immateriale come un ricordo che sfuma». Così, il film di Lacuesta riesce nel compito difficile di fare cinema su ciò che è per sua natura indicibile.
di Redazione