Orlando

Francesco Di Brigida recensisce Orlando di Daniele Vicari, il film presentato in anteprima fuori concorso al Torino Film Festival 2022.

Orlando

«Questo film è dedicato a quelle persone che ci fanno da bussola e ci aiutano a non perderci troppo». È l’indicazione di Daniele Vicari come incipit per il pubblico. Il suo Orlando è stato presentato fuori concorso al Torino Film Festival e arriva in sala dal primo dicembre, distribuito da Europictures. Guarda alla vicenda di un anziano agricoltore sabino con i baffi e il grugno di Michele Placido. Vive da solo da molti anni in una terra difficile Orlando, nel cuore degli Appennini, e fa vita semplice da sempre. Un giorno deve raggiungere il figlio malato, emigrato a Bruxelles tanto tempo fa, ma arriverà troppo tardi, trovando soltanto una nipote che neanche immaginava di avere.

Il viaggio di questo vecchietto che somiglia tanto al nonno di Heidi è per il regista reatino una sorta di ritorno alle origini. Placido abbraccia generosamente un personaggio che viaggerà privo di carte di credito o lingue straniere parlate. Solo con i risparmi nascosti nel paltò, solo come un emigrante del secolo scorso, il suo unico lume sulla modernità sembra proprio la giovane nipote, una tredicenne con il viso pacato di Angelica Kazankova. Lei, attrice alle prime armi, si comporta benissimo, con un portamento elegante, la vulnerabilità e insieme la saggezza precoce e delicata di un’adolescente rimasta orfana. La sceneggiatura incastra due personalità agli antipodi in una convivenza forzata e muta, ma pian piano Orlando e Lyse troveranno nel passato il primo punto in comune.

Vicari ha la capacità di inserire in un plot semplice come questo la lotta economica alla sopravvivenza di un emigrato italiano, rendendola quasi senza tempo, seppur incorniciata nelle esigenze del nostro terzo millennio. Neanche il tema della vecchiaia come appiglio fondante di una famiglia sfugge dalle mani del regista, e la resilienza di una ragazzina orfana, già cresciuta senza madre, rende il film ancora più stratificato di solitudini che si incontrano. Non manca neppure una tematica estremamente attuale che riguarda alcune scelte di genitorialità molto discutibili per il nostro paese.

Il ritmo è sincopato, come le musiche di Teho Teardo, come le emozioni che questi due character vivono sottopelle senza dichiararlo mai apertamente. Il senso di estraniamento domina tutto questo viaggio in un Belgio moderno e produttivo. Come racconto del cinema sull’oggi, in un mosaico immaginario che raccontasse la nostra Europa, si potrebbe accostare questo tassello al contemporaneo Tori e Lokita dei Dardenne, o a Sorry We Missed You di Ken Loach. Insomma, Vicari fa centro con la sua piccola favola agrodolce.


di Francesco Di Brigida
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