Un alibi perfetto

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alibi_perfettoEra il 1956 quando Fritz Lang portava sul grande schermo “Beyond a raisonable doubt”, focalizzandosi sulla pena di morte. Nel 2009, Peter Hyams ripropone il remake, con Un alibi perfetto (nel’ambito del quale firma anche sceneggiatura e fotografia).
Dopo il cinema di fantascienza, il regista decide di cimentarsi, ora, con un genere a metà strada tra il “legal thriller” e il “noir”, che si basa, però, su una sceneggiatura ai limiti della credibilità. Il giovane giornalista C.J sogna di vincere il premio Pulitzer. Pensa di riuscirci con uno scoop studiato alla perfezione. C.J vuole dimostrare a tutti i costi l’illegalità dei processi vinti dal procuratore Hunter, destinato ad essere eletto governatore della Louisiana. Per farlo, si farà arrestare, facendosi volontariamente accusare dell’omicidio di una giovane prostituta, con la complicità di un collaboratore. Qualcosa, però, gli sfuggirà di mano. Riuscirà a sfuggire al braccio della morte? C’è chi è disposto a tutto pur di ottenere il successo e la gloria nella propria carriera, scavalcando principi e valori etico/morali. Il protagonista sembra incarnare proprio questo stereotipo, ma il colpo di scena finale rivelerà ben altro. Lo stravolgimento totale della situazione raccontata, risulta, però, poco credibile. Il piano di CJ inizialmente colpisce per la precisione con cui viene realizzato, mostrando allo spettatore ogni dettaglio. Il precipitare degli eventi, che rischiano di mettere in trappola definitivamente il giovane, trasmettono indubbiamente una notevole suspense. Tensione che si amplifica nelle scene dei processi in aula, quasi claustrofobiche. La conclusione, attesa con trepidazione, lascia però qualche dubbio e la fastidiosa sensazione di essersi persi qualche “passaggio” dell’intricata vicenda. .Hyams dirige con asciuttezza e linearità, ma rimanendo a volte in superficie, rinunciando a “scavare” in profondità, sia nel campo formale che concettuale, utilizzando un linguaggio stilistico più da serial tv americano di stampo investigativo, più che cinematografico.

Significativo invece la fotografia, che alterna dei toni decisamente contrastanti, ma di grande effetto: le immagini dove si consuma la storia d’amore tra CJ ed Ella (la giovane collaboratrice di Hunter) sono caratterizzate da colori soffusi, sfumati, che conferiscono quasi un tocco di irrealtà.
Le altre scene, invece, appaiono più scure, con poca luminosità, specialmente in quelle girate nel penitenziario del “Braccio della morte”, per sottolineare la drammaticità della vicenda.
Micheal Douglas con la sua interpretazione riesce a dare personalità, carattere ed una forte espressività al personaggio del procuratore corrotto, anche se in alcune scene non è esule da una certa staticità e fissità, rispetto alle interpretazioni precedenti. Jesse Metccalfe nel ruolo del giornalista arrivista e senza scrupoli, mette in mostra tutta la sua fisicità, nel corpo e nello sguardo, ma ha ancora molto da imparare.


di Elisabetta Monti
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