Terrifier 3

La recensione di Terrifier 3, di Damien Leone, a cura di Gianlorenzo Franzì.

Sono tempi strani, nei quali ad una vagheggiata libertà di espressione social non corrisponde una reale libertà di espressione artistica: circostanza che, nella maggiorparte dei casi, soffoca ogni eccesso.

Damien Leone, di questo, non solo sembra non risentirne, ma vive proprio su un altro pianeta, gioca un altro campionato: e Terrifier 3 non solo non sfigura nella trilogia (che poi tecnicamente è una quadrilogia), ma è un passo in avanti aumentando esponenzialmente ogni sua componente.

Terrifier 3 è una vera e propria orgia esperienziale: una visione furibonda e forsennata, un tuffo nel sangue, un’opera che fa dell’anarchia un motivo di essere e che come impatto politico unito ad una fisicità sfrontata può essere paragonato solo al Salò pasoliniano.

E lo mette in chiaro fin dall’inizio, d’altronde: la disgustosa sequenza di onanismo nella casa infestata dichiara l’essenza del film, ovvero quella di una scopofilia necrofila che non si ferma davanti a niente, anzi sembra autocompiacersi della sua efferatezza.

Non deve scandalizzare allora troppo l’accostamento al capolavoro assoluto di Pasolini: perché Terrifier 3 ha la stessa carica eversiva -e politica- che non ha paura di scadere nel cattivo gusto, avendo dalla sua parte un sostrato sociale e culturale che si aggancia al presente e ne mostra gli anfratti più osceni. Sotto forma di delirio parossistico di morte e sangue, aprendo uno squarcio anzi un abisso su profondità oscure attraverso quell’avatar della morte che è diventato in poco tempo Art il clown.

Un personaggio che non solo in poco tempo è riuscito a conquistare il pubblico inserendosi nel pantheon di mostri celebri (Freddy Kruger, Jason Warhoos, l’Enigmista, Ghostface) che hanno in comune la capacità di incarnare uno zeitgeist buio che rispecchia l’orrore della contemporaneità.

Terrifier 3 inanella uno dopo l’altro scene oscene in un delirio furibondo, accentuato dall’insistenza pervicace di Leone sugli effetti prostetici che conferiscono una qualità materica che nonostante tutto ha un suo plusvalore, un vortice spietato che fa scempio di teste, genitali, corpi, e mostra, senza vergogna o pudore, la violenza di una personalità artistica precisa ancorata ad un cinema che non arretra davanti a niente.

David Howard Thornton, poi, aggiunge una qualità espressiva non indifferente, donando al suo Art il clown nuove ed inedite valenze; il silenzio nel quale il killer agisce e perpetua il suo circo degli orrori non ha parole, solo sangue ed emozioni.

Terrifier 3 sorpassa con un balzo i suoi predecessori, costruendo con intelligenza la mitologia del suo protagonista: e non lascia scampo, mette in scena un orrore che non è mai catartico, ma solo tremendamente, dolorosamente fine a sé stesso. Non c’è neanche un finale consolatorio, anzi non c’è finale: c’è solo il buco nero (letterale) di un orrore dal quale non si sfugge.


di Gianlorenzo Franzì
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