Shining

La recensione di Shining, di Stanley Kubrick, a cura di Marco Lombardi.

Cosa dire di un film su cui è già stato detto di tutto? Pure ridetto, e ridetto ancora di recente, vista la scomparsa della coprotagonista – Shelley Duvall, alias Wendy – avvenuta lo scorso luglio. Proviamo, allora, a rimescolare le carte, uscendo dalla consunta categoria dell’horror psicologico causato dalla crisi creativa dell’artista che non sa cosa raccontare perché sta attraversando un momento in cui neanche avrebbe voglia di raccontare, e facciamolo partendo da Otto e mezzo, di Federico Fellini.

Come mai un film così di nicchia, in termini di sguardo sulla società, può interessare tutti quanti noi? Perché non c’è bisogno di essere un regista di successo, ma neanche un regista, per identificarsi in un personaggio che rischia di essere soffocato dalle aspettative altrui, ancorché creative: basta essere un semplice dipendente che ha abituato i propri capi a farsi vedere come il Mr. Wolf della situazione, oppure un amico apparentemente indistruttibile che deve sempre aiutare perché non avrebbe bisogno di essere aiutato, o anche un genitore che, di fronte ai propri figli, s’è ritagliato il ruolo del “supereroe”.

Jack Nicholson, cioè Jack Torrance, ha forse un datore di lavoro, o una famiglia, che esercita su di lui una pressione di questo genere? No, con la sola eccezione che il figlio Danny, avendo lo “shining” (cioè la luccicanza, cioè la capacità di leggere il futuro), di certo non può essere amato dal padre perché il padre (come tutti quanti noi, del resto) non vuole avere fra i piedi qualcuno che riesce a leggere le sue più profonde inquietudini.

Da dove nascono, quindi, queste inquietudini? Da sé stesso, cioè dal Super Io che – all’interno di una società che rimuove costantemente i limiti, e gli insuccessi – imporrebbe a Jack di essere lo scrittore che non può essere per assenza di talento, come pure (forse) il padre e il marito che non è parimenti in grado di fare. Può, questa chiave di lettura, costituire uno “shining interpretativo” capace di farci scoprire un nuovo cassettino di questo immenso capolavoro firmato Stanley Kubrick, rendendolo trasversale, cioè universale, cioè a noi vicinissimo?


di Marco Lombardi
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