The Substance
La recensione di The Substance, di Coralie Fargeat, a cura di Francesco Ruzzier.
Dopo il trionfo di Titane di Julia Ducournau, torna il body horror in concorso a Cannes, nuovamente con un’opera seconda di una regista francese. La sostanza che dà il titolo al film Coralie Fargeat è un prodotto rivoluzionario che crea un alter ego più giovane, bello e performante di chi lo utilizza. “You, but better in every way”. Genera insomma un nuova nuova versione migliorata del consumatore, a patto che venga rispettata una sola regola: dividere il tempo, sette giorni ciascuno, in un equilibrio perfetto. Ad utilizzare la sostanza è Elizabeth Sparkle, stella del cinema dimenticata da Hollywood e scaricata per via dell’età avanzata dal programma televisivo di aerobica che ha condotto per anni. Inutile aggiungere che perderà ben presto il controllo sul suo nuovo alter ego.
The Substance è un film che parla di corpi e di immagini. Lo fa mettendo in dialogo due canoni estetici distanti nel tempo – quello del cinema (Videodrome, Re-Animator, Society) e dell’idea di bellezza (la scelta di Demi Moore) degli anni ’80 con la prepotente immediatezza di TikTok – e lavorando principalmente sulla superficialità visiva della nostra contemporaneità. Il film di Coralie Fargeat non vuole infatti portare avanti, se non di riflesso, il discorso politico di Cronenberg o la critica sociale di Yuzna quanto piuttosto divertirsi nell’alzare costantemente l’asticella bombardando lo sguardo dello spettatore con un’escalation di stimoli visivi sempre più radicali. The Substance è quindi una versione estrema e viscerale di Il ritratto di Dorian Gray in cui abbonda il gusto per il gore, per il grottesco e per lo splatter e dove grazie all’utilizzo di effetti speciali prostetici e fiumi di sangue ci si può abbandonare a un’esperienza cinematografica senza compromessi.
di Francesco Ruzzier