Potiche – La bella statuina

Potiche, ovvero una lezione di cinema e di intelligenza creativa. Potiche, ovvero una lezione di recitazione. E così potremmo continuare a lungo. Ozon ha realizzato una commedia, vagamente surreale, di raro equilibrio formale, nonostante la pericolosa (a livello estetico) ambientazione anni settanta e la volontaria tendenza a un’impostazione visuale kitsch. La caratterizzazione temporale non prepondera sugli aspetti più strettamente narrativi, il pacchiano non si sovrappone mai agli elementi drammaturgici, la recitazione, pur ai limiti del caricaturale nel caso dell’eccellente Fabrice Luchini, è misurata e appropriata al tono della vicenda.
L’autore di Swimming Pool8 donne e un mistero ha gettato uno sguardo all’indietro, in un periodo in cui borghesia industriale e mondo operaio si odiavano e si studiavano cercando di abbattersi a vicenda. Ma il nucleo centrale dell’opera di Ozon non è rintracciabile solo nella grottesca rievocazione della lotta di classe. Altro aspetto centrale è, infatti, la questione delle rivendicazioni femminili. Il regista non affonda certamente l’acceleratore sulle istanze femministe, quanto piuttosto sulla rappresentazione di una sensibilità più umana e acuta che il personaggio centrale (una raffinata Catherine Deneuve) riesce a utilizzare per sedurre professionalmente gli operai in rivolta. Si tratta, nel caso appena evidenziato, di una trovata di estrema astuzia poiché in perfetta sintonia con la linea espressiva di tutto il film, linea votata alla massima leggerezza (da non confondere ovviamente con superficialità).

Pur ammiccando in modo velato alla saga Peppone-Don Camillo, l’incontro scontro tra la padrona/industriale Suzanne (Catherine Deneuve) e il sindaco comunista/rivoluzionario Babin (Gérard Depardieu) è in realtà la metafora (ma neanche tanto) di quell’accordo politico avvenuto nei decenni successivi (ottanta/novanta) tra certa sinistra riformista e alcuni potentati economici.
Ma è la forza dei personaggi femminili a farla da padrone in questo lungometraggio, tutti ben delineati, divertenti e ironici. Inoltre, non un solo interprete sembra fuori posto. Certo, su tutti (a parte l’accoppiata Deneuve-Depardieu) giganteggia un sempre perfetto Fabrice Luchini, in grado in questa occasione di ricoprire un ruolo al limite della macchietta senza farlo divenire ridicolo.
Il film di Ozon, avvalendosi di un cast notevole (ricordiamo anche Karin Viard e Jérémie Renier), riesce a mantenere in ogni sequenza un ritmo allo stesso tempo sostenuto e controllato. Il tutto, grazie anche a una regia di grande precisione, quasi geometrica, sostenuta da una fotografia (firmata da Yorick Le Saux) impostata su una brillantezza cromatica mai appariscente o volgare.

Per concessione di Cultframe – Arti Visive


di Maurizio G. De Bonis
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