Peacock
La recensione di Peacock, di Bernhard Wenger, a cura di Alessandro Amato.
«Gode di sua bellezza nella rota, / guardandosi a li piè prende tristezza / e allegreza da lui sta remota. / Voce maligna, capo di serpente, / le penne pare angelica bellezza, / li passi del ladrone e frodolente», scriveva il poeta eretico medievale Cecco D’Ascoli a proposito del pavone. Una creatura che, al massimo del suo potenziale, quando ha la coda aperta e sicurezza in se stesso, gironzola, prova piacere a guardarsi, si esibisce e si guarda attorno con superbia. Lo stesso si potrebbe dire di Matthias in Peacock di Bernhard Wenger, opera prima tedesca presentata in anteprima mondiale alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia 2024. Il protagonista, interpretato dallo straordinario Albrecht Schuch (Niente di nuovo sul fronte occidentale, 2022), è un camaleonte: eccellente nell’impersonare chiunque, da un giovane esperto di musica classica al figlio di un dirigente aziendale. Un business gestito e messo in atto non senza una certa dose di cinismo, ma con buone intenzioni. Il problema giunge quando la moglie esplicita una crisi che l’uomo non voleva vedere e così il confuso Matthias sarà costretto a interrogarsi sulla propria identità profonda.
Infatti, i bestiari medievali specificano che nel momento in cui osserva le proprie zampe l’uccello non può che lanciare un grido di rabbia perché esse non corrispondono affatto al suo aspetto. Un vero e proprio processo psicoanalitico di autoriconoscimento, capace di turbare la coscienza anche di persone che per tutta la loro esistenza non hanno espresso dubbi sulla propria personalità. Anzi, sono proprio questi individui, se tale dinamica si innesca, a esserne colpiti con maggiore violenza. Il film segue con sguardo distaccato ma non distante le vicissitudini del protagonista, ponendo sempre lo spettatore sul suo livello di conoscenza degli eventi e alimentando una diffusa inquietudine nei confronti della complessità del reale. Peacock è un esempio, forse non originale ma almeno riuscito, di cinema europeo ben scritto e ottimamente recitato. Un film in grado di suggerire una riflessione sulle implicazioni morali delle scelte che facciamo ogni giorno nel relazionarci con gli altri, e più in generale sulle trappole di un sistema sociale in cui l’apparenza è ormai assurta a valore assoluto. Cosa saremmo disposti a fare pur di non essere visti nudi, percepiti per ciò che siamo veramente?
di Alessandro Amato