Le invisibili
Le invisibili non ha magari la forza e la profondità politica delle opere di Ken Loach, ma Louis-Julien Petit dirige un film intenso e intelligente.

Le invisibili non ha magari la forza e la profondità politica delle opere di Ken Loach, ma Louis-Julien Petit dirige un film intenso e intelligente, alla ricerca dell’empatia con i suoi protagonisti.
Le invisibili sono le donne che vivono in strada, che trascinano pesanti fagotti, che nascondono drammi depressioni abbandoni dietro sorrisi sdentati e stentati. Ma invisibili sono anche le donne che si prendono cura di loro, le assistenti sociali e operatrici che si occupano dei loro pasti, delle loro esigenze quotidiane, che cercano di procurare alloggi e accidentati colloqui di lavoro. Il film di Louis Julien Petit, campione di incassi in Francia, nato da un libro inchiesta (Sur la route des invisibles di Claire Lajeunie) ci propone originalmente il punto di vista di chi lavora con le senzatetto, finendo spesso per immedesimarsi talmente con le loro difficoltà da annullare quasi del tutto la propria vita privata. Le protagoniste del film sono innanzitutto loro, le stanche ma tenaci donne che mandano avanti il centro diurno Envol, nella città di Enzin, grigio nord della Francia. Audrey, Manu, Héléne (magnificamente interpretate da Audrey Lamy, Corinne Masiero, Noémie Lvovsky) dormono poco, vestono male, sono in rotta con i responsabili dei servizi sociali sempre pronti a tagliare i fondi e a ordinare sgomberi. Guadagnano poco, lavorano tanto, lavorano sempre, con la testa sempre rivolta a quelle anime perse (o meglio anime salve, per dirla con Fabrizio De André che ben conosceva e amava questo mondo) per le quali sanno di rappresentare l’unico punto di riferimento in un’esistenza grama, anche se illuminata da qualche sprazzo di allegria.
Il centro diurno rischia di chiudere, perché troppo bassa è la percentuale delle donne assistite che non riescono a reinserirsi nella vita normale, perché c’è chi rifiuta un alloggio cercato faticosamente per mesi, chi ai colloqui di lavoro insiste nel precisare che ha maturato le sue abilità di aggiustatutto in carcere e così via. Dove dovrebbero andare dunque queste donne interrotte che hanno alle spalle storie di malattia mentale o violenza domestica? Non si sa. Nessuno lo spiega alle operatrici che non vengono considerate abbastanza produttive e che pure si fanno in quattro per le loro “disagiate” dai soprannomi da rotocalco (Brigitte Bardot, Edith Piaf, Brigitte Macron…) che servono a tutelare la loro privacy. E allora ecco che alla nervosa, minuta e ingenua Audrey viene in mente l’idea di organizzare corsi di formazione per insegnare a queste creature in difficoltà a valorizzare le proprie capacità, così da poter trovare un’occupazione. La cosa funziona, ma ci sono ancora tante difficoltà da affrontare. In primis lo sgombero della tendopoli accanto al centro diurno: le “invisibili” vengono buttate giù dal letto nel cuore della notte senza preavviso, in una delle sequenze più drammatiche (e più tristemente attuali) del film. E per dare loro riparo, la responsabile del centro, la ruvida e generosa Manu (una sempre più brava Corinne Masiero) decide sotto la propria responsabilità di ospitarle in uno spazio al coperto, dove in teoria non potrebbero stare. E quando tutto sembra andare al meglio, la cattiveria o la svagatezza della giovane Julie dai capelli rasta ci mette lo zampino. E la storia delle “Invisibili” si avvia verso un finale che non è una favola, ma neppure una tragedia. È dolceamaro, segnato dalla sconfitta, ma anche dalla speranza.
Il tono del film di Louis-Julien Petit è quello della commedia “sociale”, dove l’ironia e le situazioni paradossali sono la chiave per raccontare una realtà cruda che appartiene a tutte le nostre grandi città. Irresistibili i colloqui di lavoro dell’ex detenuta Chantal, che proprio non ce la fa a tenere la bocca chiusa sul periodo che ha passato in prigione (ma alla fine, forse, avrà ragione lei) e alcuni momenti della giornata “porte aperte” organizzata per far conoscere anche al mondo esterno e “normale” le capacità lavorative delle ospiti del centro Envol. In alcuni passaggi il film finisce per essere un po’ scontato e prevedibile (ad esempio nel personaggio della “cattiva” Julie e nel suo rapporto con la fin troppo fiduciosa Audrey) e nel complesso non ha la forza di un’opera come Io, Daniel Blake di Ken Loach. Diciamo che (solo) nei suoi momenti migliori e nell’idea di puntare tutto sulla solidarietà per uscire fuori da una situazione quasi impossibile assomiglia di più a Full Monty. Ma Le invisibili resta comunque un ottimo film, che fa passare con tono brillante un messaggio profondamente politico. Che fare per chi rimane ai margini, per chi magari non riuscirà mai a (re)inserirsi nei consueti binari lavorativi e sociali? Dobbiamo considerarli solo un costo o non dobbiamo piuttosto fare qualcosa anche per loro? La sua risposta, decisa e corposa, il film la fornisce eccome. E ci regala un quadro estremamente realistico delle situazioni che racconta, grazie alla partecipazione alle riprese di tante donne che hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza di vivere sulla strada. E non si parla solo di non professioniste: Corinne Masiero, eccellente interprete di Manu, ha vissuto davvero anni difficili da senzatetto prima di trovare la sua salvezza nella recitazione.
di Anna Parodi