La bambina segreta
La recensione di La bambina segreta, di Ali Asgari, a cura di Emanuele Di Nicola.
È un film semplice, La bambina segreta. Eppure la semplicità coincide proprio con la sua forza. Secondo lungometraggio di finzione del cineasta iraniano Ali Asgari, presentato alla Berlinale 2022 nella sezione Panorama col titolo internazionale Until Tomorrow (Fino a domani), arriva con ritardo nelle sale italiane il 19 settembre 2024. Ma un’opera potente, tutto sommato, non è mai in ritardo e sempre in tempo. La protagonista è Fereshteh (Sadaf Asgari, nipote del regista), una ragazza che studia e lavora in una tipografia a Teheran. I genitori non sanno che ha una figlia neonata, di due mesi, ma non ha un compagno e dunque per la legge iraniana risulta illegittima.
L’innesco del racconto è proprio la telefonata della madre: le annuncia una visita a sorpresa ed ecco che la bimba deve sparire per una notte. Fereshteh inizia così la sua piccola odissea, in cerca di un approdo che pare semplice ma si rivela difficile, forse impossibile: affidare la creatura a qualcuno nell’arco della visita. Unica alleata l’intelligente compagna di stanza, Atefeh. Le porte a cui bussano però non si aprono. A partire da quella del padre della piccola, col quale sono ormai lontani (“Ti avevo detto di abortire”), passando per le amiche, conoscenti e vicini, tutti avvinti dal terrore di una repressione che perdona. Il moto perpetuo e infruttuoso della donna insinua gradualmente la brutalità del patriarcato, ancora più spietato laddove è implicito, non detto, e si manifesta non con schiaffi e pugni ma con la violenza del rifiuto.
Ali Asgari conferma sua tendenza a scavare sotto la superficie del regime iraniano, attraverso un’idea estetica precisa e riconoscibile: unità di tempo e luogo (una notte, una giornata), una donna in difficoltà, un problema femminile che per estensione diventa metafora della repressione sociale iraniana. Detto chiaramente: ciò che nel mondo libero si può fare qui è vietato. Ecco che il precedente lungometraggio Disappearance si collega a questo, non solo per la presenza della stessa attrice: come lì non veniva aiutata una ragazza che si reca al pronto soccorso di notte, perché ciò che ha fatto è proibito, stavolta una mamma è costretta a nascondere la bambina; in entrambi i casi i genitori non devono sapere, pena lo stigma sociale con gravi conseguenze. In entrambi i casi, ancora, Asgari con la sua cinepresa segue il movimento della protagonista e la accompagna per alcune ore, pedinandola con sguardo post-dardenniano, sino a mandare lo schermo in nero e rilasciare la giovane al suo triste destino. Ne La bambina segreta, poi, il finale è di particolare sobrietà e spessore. Ali Asgari combatte il regime con la cinepresa come Jafar Panahi: rispetto ai vertiginosi congegni meta-cinematografici di Panahi, però, si pone all’estremo opposto. Senza fronzoli né intellettualismi, senza politica esplicita, solo col racconto semplice e diretto: quelli di Asgari oggi sono i film più incisivi per capire cos’è la negazione della libertà.
di Emanuele Di Nicola