Kiki – Consegne a domicilio

Francesco Parrino ripercorre la genesi del cult di Hayao Miyazaki.

Kiki-poster

Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, tra Il mio amico Totoro e Porco Rosso, Hayao Miyazaki tirò fuori dal cilindro creativo un piccolo film, Kiki – Consegne a domicilio, tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice Eiko Kadono del 1985. Primo capitolo di una saga letteraria di formazione di enorme seguito in Giappone che ha prodotto ad oggi altri nove sequel. Ironicamente però, quando nel 1987 fu annunciata l’acquisizione dei diritti di utilizzazione economica del romanzo, né Miyazaki né Isao Takahata erano disponibili a dirigerlo impegnati com’erano, rispettivamente, tra Il mio amico Totoro e La tomba delle lucciole. Al loro posto Sunao Katabuchi al debutto da regista, scelto personalmente da Miyazaki – inizialmente qui nelle sole vesti di produttore – dopo la collaborazione nel team di scrittura dell’anime Il fiuto di Sherlock Holmes.

Alla sceneggiatura Nobuyoki Isshiki, rimosso dall’incarico dopo che il suo primo draft – estremamente aderente al romanzo –  fu giudicato insoddisfacente da un Miyazaki che a quel punto iniziò a lavorare a un suo personalissimo draft. L’originale Kiki – Consegne a domicilio vive di un incedere episodico composto da piccole storie su persone e incidenti che Kiki incontra durante le consegne nella fittizia città di Koriko. Non affronta particolari traumi o crisi, ma quei pochi eventi sono affrontati da Kiki in virtù del suo buon cuore. Miyazaki si rese conto di come, pur con un concept forte alla base, questa Kiki non avrebbe potuto funzionare in un lungometraggio cinematografico: «Poiché i film creano sempre una sensazione più realistica, Kiki subirà battute d’arresto e una solitudine più forte rispetto all’originale». Ed ecco quindi l’attacco dei corvi, la scopa spezzata, i poteri indeboliti, il difficile rapporto con Tombo.

Tutti elementi volti a rendere l’evoluzione di Kiki come tangibile, fatta di dubbi e fragilità. Una visione talmente radicale quella di Miyazaki che la Kadono fu quasi sul punto di vietarne la realizzazione. Parallelamente, con Il mio vicino Totoro ormai nelle sale giapponesi, Miyazaki consegnò la sua sceneggiatura nell’ottica di un Kiki – Consegne a domicilio che da semplice special TV di 60 minuti, si espanse sino a diventare un lungometraggio da 102 minuti. A quel punto, resosi conto di aver influenzato il progetto più da regista che non da semplice produttore, lo portò avanti fino alla fine con Katabuchi come assistente alla regia. Ciò che resta trentaquattro anni dopo è uno degli anime che meglio racconta l’adolescenza tra vulnerabilità, desiderio di indipendenza e di crescere, e dell’importanza di avere cura dei propri doni. Un Miyazaki minore se rapportato al resto del suo opus filmico, ma ugualmente prezioso.


di Francesco Parrino
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