3ª edizione di UnArchive Found Footage Fest: rinnovo del materiale ritrovato, sviluppo di un festival in crescita
A cura di Roberto Baldassarre.

Si è conclusa la terza edizione di UnArchive Found Footage Fest, svoltasi a Roma dal 27 maggio al 1º giugno e prodotto dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico. Un festival che si focalizza su opere (lungometraggi o cortometraggi) creati con materiale d’archivio. Un modus operandi artistico che in questi ultimi anni si sta sviluppando, e quasi sta creando genere a se stante. Questa terza edizione ha proseguito le linee tracciate due anni fa (ma ci fu anche una piccolissima edizione zero, per testare l’idea), ma si è ampliata con più opere in concorso, incontri e live performance. Oltre a un aumento dei luoghi che hanno ospitato questo articolato Festival. Direttori artistici sono Marco Bertozzi, storico del documentario, e Alina Marazzi, che con il suo esordio Un’ora sola ti vorrei (2002) ha riscritto il concetto di riutilizzo del Found Footage.
Tra lungometraggi, cortometraggi e opere realizzate dalle scuole, sono stati proiettate molte opere originali, capaci di dare nuova vita e nuova forma a una mole di Found Footage stipato in archivi statali oppure di provenienza casalinga. Gli autori riutilizzano quel materiale, spesso creato per altri motivi, e lo uniscono per generare un rinnovato documentario.
In questa edizione si sono distinte diverse pellicole, tra cui quelle che hanno vinto. Tra le opere non vincitrici, da segnalare A Year in the Life of a Country (Rok z zycia kraju, 2024) di Tomasz Wolski. Un documentario che racconta, attraverso una mole di materiale disparato, gli anni della Legge Marziale in Polonia, che fu applicata dal 13 dicembre 1981 al 22 luglio 1983. Un resoconto storico di pregio, che mostra, da diverse angolazioni, l’origine, lo svolgersi e i violenti riscontri e/o le prevaricazioni di quell’anno e mezzo di stato di polizia. Un documentario che conferma sia le capacità storiche e sia le doti tecniche, nello specifico il montaggio, di Wolski. Già sviluppate magnificamente in 1970 (2021), che raccontava in maniera originale le manifestazioni e gli scioperi, deflagrati in violenta repressione, in Polonia.
Altrettanto fenomenale Eight Postcards from Utopia (Opt ilustrate din lumea ideală, 2024) di Radu Jude, costruito assemblando spot pubblicitari romeni del post comunismo. Una dissacrante e ritmata dinamica, come è solito fare Jude, per descrivere la transizione economica della Romania, da Paese satellite dell’URSS a Stato che anelava al capitalismo occidentale.
Di egual caratura Trains (Pociaji, 2024) di Macie J. Drygas, che ha impiegato ben 10 anni per completarlo. E questo lavoro decennale appare in tutta la sua forza, nella precisa coesione, tematica e di montaggio, che descrive l’importanza del treno nel Ventesimo secolo. Mezzo di locomozione che è stato un passo avanti nell’evoluzione del trasporto e dei rapporti sociali, ma parimenti mezzo di morte (utilizzato per il trasporto di materiale bellico e come mezzo per deportare le persone nei campi di sterminio).
Film di chiusura è stato Subject: Filmmaking (Filmstunde_23, 2024) di Edgar Reitz e Jörg Adolph, che recupera un “antico” documentario che il regista girò nel 1968 (Filmstunde). Un’opera, scaturita durante le lezioni di cinema che Reitz svolgeva in una classe di studentesse, che non uscì mai al cinema ma fu trasmessa in Tv. Filmstunde_23 è un soppesare, tra nostalgia (delle studentesse ormai anziane) e riflessione teorica (Reitz che assembla Found Footage e riprese odierne), l’enorme distanza tra quel modo di concepire il cinema (con mezzi ormai obsoleti) e la situazione attuale. Quelle lezioni di cinema, che dovevano inaugurare in maniera innovativa un corso nelle scuole, purtroppo fu boicottato, e passeranno anni prima che il linguaggio cinematografico entri negli edifici scolastici.
Premi dati dalla giuria internazionale:
Premio per il Miglior utilizzo creativo del materiale d’archivio a Trains. “Un film che si è distinto per la sua radicale semplicità e per la maestria con cui utilizza le immagini d’archivio come treno narrativo attraverso sogno e incubo, gioia e dolore. Il film incarna una profonda fiducia nel potere evocativo del cinema e nel suo potenziale di trasformazione politica dello sguardo sul passato”.
Premio per il Miglior lungometraggio a Soundtrack to a Coup d’État di Johan Grimonprez. “Un’opera poderosa e necessaria, che affronta la responsabilità storica del proprio paese con rigore e intensità artistica. Il film interroga la relazione tra arte, potere e capitale, chiedendo agli spettatori – e agli artisti – di riflettere sul proprio ruolo e sulle seduzioni del compromesso politico. Una vera opera di resistenza”.
Premio per il Miglior cortometraggio a Man Number 4 di Miranda Pennell. “Un’opera che mette in crisi la passività dello sguardo contemporaneo attraverso un dispositivo tanto semplice quanto destabilizzante: la ripresa di un desktop che si fa campo di battaglia tra visione e responsabilità. Il corto invita a riconsiderare la funzione stessa del “guardare” in relazione al potere”.
Una Menzione speciale è stata inoltre conferita a Like a Sick Yellow di Norika Sefa. “Per l’intensità del suo approccio intimo e politico. Il film costruisce un dialogo delicato ma potentissimo tra la regista e la sua memoria familiare, rivelando come lo spazio domestico possa diventare un campo di tensione esistenziale e politica, con la guerra fuori campo ma sempre visibile”.
Premi dati dalla giuria studenti:
Premio per il Miglior riuso creativo è stato assegnato a I’m Not Everything I Want to Be di Klára Tasovská. “Per la potenza narrativa e la raffinatezza della sua costruzione visiva. Il film ricostruisce la vita di una grande artista attraverso migliaia di fotografie, dando nuova voce e corpo a un’esistenza vissuta in immagini”.
La Menzione speciale per il lungometraggio è andata a My Armenian Phantoms di Tamara Stepanyan. “Per la capacità di intrecciare il racconto personale con quello storico del popolo armeno, offrendo una nuova luce su un cinema ancora troppo poco conosciuto e valorizzato”.
Un’altra Menzione speciale è stata conferita a Razeh-Del di Maryam Tafakory. “Un’opera che si impone come gesto di autodeterminazione artistica e politica, attraverso un riuso sovversivo e potente delle immagini. Un film che rivendica lo sguardo delle donne iraniane come atto di resistenza e speranza”.
Premio per il Miglior cortometraggio è andato a Man Number 4. “Per la capacità di interrompere il flusso anonimo delle immagini e restituirgli peso, forma e valore. Il corto riesce a rieducare lo sguardo e mette lo spettatore di fronte alle proprie responsabilità”.Premio per il Miglior lungometraggio a Soundtrack of a Coup d’État. “Confermando l’unanime riconoscimento alla potenza di quest’opera. La giuria ha sottolineato l’eccellenza del montaggio, il ritmo sostenuto e il lungo lavoro di ricerca durato sei anni da parte del regista, premiando l’atto di memoria come esercizio critico e civile sul presente”.
di Roberto Baldassarre