Io sono ancora qui

La recensione di Io sono ancora qui, di Walter Salles, a cura di Guido Reverdito.

Brasile, 1970. L’ex deputato del Partito Laburista Brasiliano (PTB) l’ingegnere Rubens Paiva vive con sua moglie Eunice e i cinque figli in un bell’appartamento pieno di libri in una delle zone più chic di Rio de Janeiro. Il colpo di Stato che nel 1964 ha instaurato una delle più feroci dittature militari che il tribolato continente sudamericano abbia conosciuto nel secolo scorso (e della quale però si è parlato molto meno di quanto non si sarebbe dovuto) ha però interrotto in maniera traumatica la sua carriera politica. E se a preoccupare la moglie Eunice è soprattutto la figlia maggiore Veronica per la sua partecipazione attiva alle proteste antigovernative di piazza contro la dittatura organizzate dai movimenti studenteschi, a traumatizzare lei e tutti gli altri figli è invece quanto accade all’improvviso al marito: prelevato un giorno per un semplice interrogatorio, Rubens sparisce nel nulla. Ed è da quel momento che Eunice comincia la sua determinata battaglia solitaria per risalire alla verità e per riportare a casa il marito scomparso, senza mai smettere di fare tutto il possibile per tenere la famiglia unita evitando che il Male che ne ha minato la serenità rischi di disgregarla del tutto.

Presentato in anteprima a Venezia lo scorso settembre e tratto dal libro di memorie Ainda estou aquì pubblicato nel 2015 da Marcelo Rubens Paiva, l’unico figlio maschio della famiglia Paiva, da quando è uscito nelle sale brasiliane, Io sono ancora qui ha già mietuto una serie di importanti riconoscimenti a livello internazionale e si presenterà alla notte degli Oscar candidato non solo (il che non è certo una grossa sorpresa, vista la prova monumentale che Fernanda Torres regala nei panni della madre coraggio del film) per la migliore interpretazione femminile, ma anche come miglior film e miglior pellicola non di lingua inglese.

Questo asciutto dramma senza lacrime e compatimenti che torna a sbatterci in faccia il dramma tutto sudamericano delle migliaia di individui scomparsi nel nulla negli anni in cui dittature sanguinarie hanno decimato la meglio gioventù di Brasile, Argentina e Cile è diretto da Walter Salles, il regista amato in tutto il mondo per opere come Central do Brasil e I diari della motocicletta. Il quale all’epoca degli eventi ricostruiti nel film andava alle elementari ma era amico dei bambini della famiglia Paiva perché erano suoi vicini di casa, dovendosi così accostare al libro del quasi coetaneo Marcelo Rubens non solo come regista ma trovandosi al contempo costretto a distanziare quanto bastava la materia della finzione dalle ferite aperte nel proprio vissuto personale.

Abituato agli sterminati spazi della sua terra natale, e fin dagli esordi abilissimo nel dimostrare il proprio talento visivo nel raccontare per immagini viaggi e paesaggi alla fine del mondo, in questo suo decimo film Salles cambia completamente registro e si asserraglia tra le mura domestiche di uno spazio angusto che evidentemente conosceva bene in prima persona, staccandosene al massimo per avventurarsi con la macchina da presa nelle strade in prossimità della casa degli amici di un tempo e la spiaggia antistante che funziona come quinta di una felicità illusoria braccata dalle ombre cupe della Storia.

Io sono ancora qui è solo in apparenza un film di denuncia teso a richiamare alla memoria collettiva una pagina ignobile di storia nemmeno troppo recente. O meglio, è anche quello. Ma è soprattutto il tentativo riuscitissimo da una parte di restituire agli occhi dello spettatore l’humus ambientale in cui la feroce dittatura brasiliana andò a imporre il pugno duro della sua repressione sanguinolenta di ogni potenziale opposizione (con il bagliore ingannevolmente scintillante della spiagge di Rio su cui veleggiano statuarie bellezze al bagno con cagnolini al guinzaglio e Coca Cola versata sulle gambe per incoraggiare l’abbronzatura, ma soprattutto i rassicuranti interni altoborghesi della casa dei Paiva). E dall’altra quello forse ancora più perfettamente compiuto di regalare allo spettatore il ritratto di una famiglia che si oppone con la forza interiore e la dignitosa compostezza dei modi alla ferocia torva degli aguzzini illusi di minarne la coesione strappando loro l’elemento che per anni era stata la garanzia di una coesione inattaccabile.

Io sono ancora qui è infatti anche una storia di resistenza. La resilienza di quella classe sociale – la medio-alta borghesia urbana imbevuta da sempre di sana cultura progressista e tenuta in vita dalla trasmissione di generazione in generazione di valori etici mai passati di moda – capace di sopravvivere agli orrori del presente trovando nell’impazzimento della Storia i presupposti per inventarsi un futuro. E non è infatti un caso che, nella realtà, la protagonista del film – pur non riuscendo a far luce sulla scomparsa del marito – riuscì nell’impresa di laurearsi a 48 anni, e a inviare tutti i figli a studiare quanto più lontano possibile da quella terra che l’aveva ferita a morte senza però riuscire ad abbatterla. Pur potendo sembrare un fastidioso spoiler, merita una menzione particolare l’epilogo, perché è una sorta di cerchio che si chiude all’interno della carriera di Walter Salles. Dal 1970 e dintorni si passa al 2014: usando la tecnica intenzionalmente amatoriale delle riprese fatte col telefonino per spacciare allo spettatore come autentico ciò che autentico non è, ma anche per un gioco di rimandi interni da cinema nel cinema, nel ruolo della protagonista ormai avantissimo negli anni c’è il viso della novantaseienne Fernanda Montenegro, la protagonista di Central do Brasil, il più premiato (Orso d’oro alla Berlinale) e noto dei nove precedenti lungometraggi di Salles. Fernanda Montenegro che, guarda caso, nella vita reale è la madre di Fernanda Torres. Come a dire che il destino del mondo e la sua capacità di opporsi alla follia omicida degli uomini è nelle mani delle donne e delle madri, longeve e resilienti quanto necessario per resistere ai deragliamenti della Storia.


di Guido Reverdito
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