Inside Out 2

La recensione di Inside Out 2, di Kelsey Mann, a cura di Carmen Albergo.

Record di incassi nel primo fine settimana di uscita nelle sale, Inside Out 2 domina il botteghino sfruttando al massimo la smaniosa attesa che l’ha preceduto e senza tregua cavalca l‘onda delle grandi aspettative con l’annuncio della omonima serie animata in prossima uscita su Disney+.

Ansia, non può che essere lei, dunque, l’assoluta nuova protaginista, visto il trepidante trend Disney-Pixar.

Del resto, la personalità della casa di animazione fondata dai visionari Jobs, Lasseter e Catmull, tra alti e bassi è sempre stata strategica, proprio perché di temperamento insofferente ai limiti e  di carattere impaziente del futuro, tanto per restare alla psicoanalisi, definitivamente sdoganata al grande pubblico proprio dal successo del primo Inside Out. Il film firmato da Kelsey Mann assicura un ritmo serrato e psichedelico di accadimenti, purtroppo poco riequilibrato dalle parentesi riflessive che invece punteggiavano Red di Domee Shi, potenziandone il valore di formazione e scambio generazionale, che anche in questo caso è chiave di lettura. Tuttavia, ha il merito di far spazio a davvero inaspettati e interessanti momenti di maturità drammaturgica, coerentemente col percorso di crescita emotiva individuale che mette in scena.

Nel fantomatico quartier generale delle emozioni della ormai tredicenne Riley sbarcano le emozioni secondarie, Ansia, Invidia, Imbarazzo ed Ennui (Noia), destando sgomento tra le antecedenti emozioni primarie, Rabbia, Disgusto, Paura, Tristezza e Gioia, soprattutto quest’ultima patisce il crollo della collaudata gestione del quotidiano equilibrio emozionale. Ma la vita è cambiamento costante e la resistenza  al cambiamento, nonchè il suo mancato riconoscimento, è quanto di più controproducente esista.

Gioia e tutta la sua squadra devono imparare a gestire ex novo tutto questo o avrebbero potuto almeno intuirlo, data l’esperienza più che decennale nella mente di Riley? (Giochiamo col “Senso di sè”, concept alla base di Inside Out 2, che pure le emozioni-protagoniste dovrebbero avere, nel mise en abyme di volerle antropomorfizzate).

Tra Inside Out e Inside Out 2 c’è un brillante cortometraggio, spin off del 2015, dal titolo Il primo appuntamneto di Riley, realizzato da Josh Cooley, già co-sceneggiatore con Meg LeFauve del primo lungometraggio, assente invece in questo secondo. Lo spin off si concentra appunto su una delle circostanze più critiche, fortemente attenzionate nel nucleo familiare, ma anche di introspezione e giudizio individuale (si veda ancora Red) nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza. In questo episodio emergono già in tutta la loro evidenza l’imbarazzo proferito da Disgusto dinanzi allo slang di “intesa tra ragazze” inscenato dalla madre, segue l’apatica Noia esteriore del pretendente, ragazzino svampito, perché totalmente perso tra le mille e una distrazioni dell’età de-responsabilizzata ed infine proprio Ansia nello smarrimento apprensivo, sino all’allarmismo, dei genitori. Se è Ansia la protagonista del sequel, sarà anche per questo, visto che le emozioni secondarie si apprendono e consolidano dall’ambiente esterno, famiglia in primis (sin dal primo Inside Out i genitori esordiscono esasperati dalle disavventure del trasloco e conseguente fuga di Riley a confermare il quadro).           

Il vero scatto di crescita e consapevolezza, nonché l’autentica scaltrezza del film, non si avrà dunque di colpo nell’happy ending con la conquistata convivenza tra emozioni conflittuali, in apparenza  in competizione tra loro, in realtà in competizione con se stesse, piuttosto nello svelamento in progress di un reciproco riconoscimento del contrario, quasi dal sapore pirandelliano. Qui le lacrime, non sono più caramelle di consolazione dell’immaginario Bing Bong, né biasimo come per l’autocritica volta a Tristezza, ma lo smascheramento di una ambivalenza dissimulata (ci stiamo forse preparando a stendere il tappeto rosso ad Orgoglio nella sua doppia accezione positiva e negativa?). Da un lato dunque le “Lacrime di Gioia”, sul confine tra la Resa e la Resilienza di rimettersi su e dall’altro le “Lacrime di Ansia”, sul confine tra paralisi di Panico e Pena per se stessa. Questo il braccio di ferro stretto sul tavolo della Memoria, la sfida di Riley con se stessa per reprimere la ferita emotiva, quando intuisce che le sue migliori amiche le hanno nascosto che si separeranno al liceo, alla pari di quando nel primo film la sua migliore amica le confida quanto sia brava la nuova compagna di squadra. Riley rifugge il dolore di sentirsi esclusa e alza la posta delle aspettative di rivalsa per assolvere se stessa, piuttosto che manifestare il suo malessere, prima che degeneri.

Sanciva Truffaut  per i suoi 400 colpi «Se c’è una tesi nel mio film è questa: l’adolescenza lascia un buon ricordo solo negli adulti che hanno una cattiva memoria» ed ecco qui al lavoro tutte le tecniche di selezione e rimozione inconscia, fino ad un immaginario studio di animazione che ri-disegna differenti versioni dei ricordi, ovvero tutti i condizionamenti che hanno portato al tradimento (salvifico?) personalizzato della realtà relazionale. Procedendo nella metafora meta-cinematografica, come si suol dire, quando in sala tutti vediamo lo stesso film, ma ognuno a modo proprio.

In conclusione, nella formula stratificata per famiglie il film stimola il pubblico adulto a recuperare con umorismo quelli che passano per gli “anni più belli”, forse perché i più liberamente Egocentrici della vita, nonchè due perle di citazioni, Inception con la materializzazione scenica della cassaforte in cui seppellire i segreti e Ritorno al Futuro se ricordiamo che Martin suggerisce ai suoi giovanissimi genitori di non adirarsi col loro futuro figlio per un buco nel tappeto: il segreto ancora incofessato di Riley. Ai più piccoli invece, adrenalina a parte, resta il ricorrente gioco dell’appiglio ad altri cult di successo, dichiarato come per il personaggio di Pouchy, il marsupio giallo parlante (lo strumentopulo della Casa di Topolino, lo zainetto di Dora l’esploratrice) ma anche subliminale (meccanismo portato all’estremo dal celebrativo Wish): il personaggio di Val, il capo squadra, ammirata mentore di Reily non è uguale a Shank ammirata mentore di Vanellope in Ralph spacca internet?


di Carmen Albergo
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