Il caftano blu

La recensione di Il caftano blu, di Maryam Touzani, a cura di Ignazio Senatore.

E’ un film più d’atmosfera che di sviluppo narrativo Il caftano blu, diretto da Maryam Touzani. La trama, infatti, si svolge nella quasi totalità nella bottega sartoriale di Helim (Saleh Bakri), sposato con Mina (Lubna Azabal), una donna indurita da una malattia, che la sta divorando giorno dopo giorno. Nella bottega della medina di Salè, Helim confeziona dei tradizionali caftani, cuciti e ricamati pazientemente a mano e intrecciati, con cura e amore, con dei fili dorati.

A dare loro una mano Youssef (Ayoub Missioui), un giovane apprendista che, vigile e attento, scruta Helim mentre ricama e, ben presto, apprende i rudimenti dell’antica arte del cucito. Mina intuisce che la presenza di Youssef, sta risvegliano in Helim le sue spinte omosessuali e, inizialmente, tratta il giovane con asprezza e freddezza. La malattia avanza e, prima di morire, Helim confida alla moglie la passione, ricambiata, che nutre per il giovane apprendista.

La regista marocchina, con coraggio, affronta un tema tabù per il popolo arabo, come quello dell’omosessualità, e lo declina con garbo e delicatezza. Al centro della narrazione più che i due amanti, la tenera Mina che, invece, di prendere le distanze dal marito o condannarlo per le sue scelte omosessuali, è al suo fianco, lo sostiene, lo protegge e lo spinge a sfidare le convenzioni e a vivere la sua passione fino in fondo.  

Maryam Touzani adotta un ritmo lento, quasi ipnotico, evita di prosciugare la vicenda, che soffre per la durata eccessiva (122’) e lascia off le scene delle effusioni tra i due amanti.  Magica la fotografia di Virginie Surdej. Evocative  le musiche di  Kristian Eidnes Andersen.


di Ignazio Senatore
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