I lunedì al sole
Ecco un’altra storia di disagio, disoccupazione e solitudine, offerta da un cinema che in questo caso diremo europeo piuttosto che spagnolo (sebbene l’autore sia un basco), proprio per questo suo richiamarsi ad una costante sociale ed espressiva già presente in autori inglesi come Ken Loach e Stephen Frears o nel francese Cantet, e in maniera diversa nell’altro francese di Marsiglia ma di origine armena, Robert Guediguian. Ciò che appunto lega questi autori al nostro Aranoa sono dunque i modi di rappresentazione con cui viene attuata la volontà di esclusione della dimensione spazio-temporale della fabbrica (forse nella sua ovvietà nell’esprimere dinamiche sociali profonde), a favore di una concentrazione sullo spazio-tempo del “dopo fabbrica” nel quale è più facile cogliere, quasi antropologicamente, i meccanismi disumani dell’esclusione sociale e le sue conseguenze sui soggetti-personaggi che ne sono vittime, sempre e comunque per la sola ragione possibile, l’interesse del capitale alla formula sempre efficace in qualsiasi latitudine, del licenziamento. .Ma la politicità del film si trova tutta non tanto nelle ragioni quanto nelle conseguenze delle ragioni; è nell’uomo e sull’uomo che essa rivela la propria drammatica attualità e non nelle teorie o ideologie più direttamente coinvolte. I lunedì al sole si svolge tra due opposte sequenze, d’apertura e di chiusura, quasi emblematicamente: l’immagine di una guerriglia urbana tra operai e forze dell’ordine, in cui si definiscono i destini di alcuni lavoratori portuali di Santander, articolata in un montaggio “musicale”, e quella in cui gli amici ormai disoccupati, dopo aver tranquillamente rubato un battello, attendono al sole che qualcosa accada. Azione contro staticità, come metafora politica della sconfitta di una classe sociale, sul punto di una nuova presa di coscienza: l’allontanamento dalla fabbrica come momento di riflessione e di libertà, ma anche di attesa. E infatti l’azione “vera” del film è tutta nel passaggio dalla dimensione della lotta di classe a quella dell’amicizia di classe. Il racconto, quasi sempre girato in interni, ha il suo epicentro in un bar dove quattro, cinque personaggi (uno tra questi, il più giovane, deve subire uno stupido processo per aver distrutto un lampione della fabbrica, mentre un altro, rimasto solo, si toglie la vita),si dilungano per ore in conversazioni insieme al barista, che è uno di loro, sulla propria sorte di disoccupati. C’è chi tenta invano di trovare un nuovo lavoro e chi distrugge nuovamente il lampione dopo averne pagato il risarcimento, e chi vive la propria solitudine senza possibilità d’uscita. Nel caos e nell’incertezza delle reazioni dei personaggi, nei caratteri e nelle situazioni umane, messi in scena dal regista con solida misura e ritmico narrativa, emerge tuttavia il tentativo utopico di riappropriazione del tempo da parte di chi, con orgoglio, ha preferito comunque la fragilità dell'”abbracciare il sole”, al solito buon senso che nutre ogni rassegnazione o compromesso.
di Maurizio Fantoni Minnella