Il posto dell’anima

il posto dell'anima

il posto dell'animaRiccardo Milani ha realizzato, con Il posto dell’anima, un film solido, classico, un’opera che recupera le migliori tradizioni del cinema progressista e della commedia italiana. Una multinazionale americana decide di chiudere la fabbrica di pneumatici che ha installato, anche grazie alle sovvenzioni pubbliche, in una cittadina abruzzese. Gli operai si ribellano, s’incatenano all’ingresso, formano un picchetto che per mesi blocca i cancelli d’ingresso. La storia, inusuale per il cinema italiano contemporaneo, è raccontata attraverso le vicende di tre personaggi: il maturo sindacalista, l’operaio irrimediabilmente ammalato di cancro da fumi tossici, il giovane che tenta di uscire dalla crisi in modo individuale inventandosi un’attività di pastaio, salvo finire a stritolato dall’apertura di un supermercato. Il tutto intrecciato a storie sentimentali, affari di corna, sogni.

E’ un film che non ha remore nel toccare le corde del sentimento e di usare, seppur sommessamente, la retorica. Un’opera commuovente, piacevole come un prodotto genuino, antico e sincero. Molti anni or sono Andrej Wajda disse, a proposito del suo film L’uomo di ferro, la prima opera apertamente critica sul regime realsocialista, “non è un bel film, forse fra qualche anno sarà dimenticato, ma è ciò che oggi un intellettuale polacco che si rispetti deve fare”. Queste parole ci sono venite in mente assistendo alla proiezione de Il posto dell’anima, un testo che non teme di andare contro corrente, di dare voce a personaggi che altri cineasti considerano degli zombi, tanto che ad un certo film risuona la battuta “Gli operai, ma esistono ancora?” Sì esistono e Milani lo ricorda inserendosi sulla strada aperta dai cineasti francesi, belgi, spagnoli, inglesi che l’hanno imboccata da tempo. E’ una bella risposta ad un paese che si vorrebbe intossicato dalla cattiva televisione, avvilito dal cinismo, preda di una politica che scambia l’interesse affaristico con il bene comune. Film come questo aiutano a sentirsi meno soli.

Umberto Rossi

Note critiche di Mariella Cruciani

il posto dell'animaIl primo aggettivo che viene in mente per definire il film di Milani è senz’altro “accattivante”: la forza emotiva della colonna sonora, le battute spiritose disseminate lungo tutto la pellicola, sembrano, in più di una sequenza, voler catturare quasi a forza lo spettatore. Non si tratta, per questo, di un’opera furba o studiata a tavolino, anche se uno dei protagonisti principali, Silvio Orlando, scherzando a proposito delle immagini che lo mostrano nudo (di spalle), ha commentato: “In tempi di crisi, si fa di tutto per portare la gente al cinema!”.

Battute a parte, Milani compie la difficile impresa di coniugare commedia e melodramma, alternando, nella costruzione del film, momenti di divertimento ed altri di autentica commozione. Insomma, Il posto dell’anima provoca in chi guarda uno stato d’animo, e una riflessione, analoghi a quelli suscitati da film come La tregua di Rosi. Ci si chiede: “infarcendo una storia, di per sé drammatica e impegnativa, di battute, non si rischia di sminuire la verità e la gravità delle cose narrate?”.
In realtà, provando a fare un serio esame di coscienza, ci si rende conto di essere spesso sulle difensive rispetto a ciò che emoziona e coinvolge nel profondo: il film di Milani, allora, racconta vicende private e collettive di operai e delle loro famiglie, non in maniera retorica o sentimentale, bensì con ironia e partecipazione. Anche la morale, apparentemente scontata (non arrendersi mai!), in tempi di omologazione e conformismo, è tutt’altro che da buttare.

Bravissimi gli attori: il già citato Silvio Orlando, un sanguigno Claudio Santamaria, un ruvido e incisivo Michele Placido e anche Paola Cortellesi, qui, non fa mai pensare alla TV.
Questo, e altro ancora, fa de Il posto dell’anima quel che si dice, con parola fuori moda, un film “toccante”.

Mariella Cruciani


di Umberto Rossi
Condividi

di Umberto Rossi
Condividi