Hokage – Ombra di fuoco

La recensione di Hokage - Ombra di fuoco, di Shinya Tsukamoto, a cura di Guido Reverdito.

Nel Giappone dell’immediato dopoguerra, un bambino rimasto senza nessuno al mondo si aggira tra le macerie di un paese che non esiste più e che fatica a illudersi in un possibile futuro di speranza. Nel suo vagare cercando invano protezione e calore umano, l’orfano si imbatte in tre figure che riassumono in maniera antonomastica l’orrore postbellico che attanaglia il paese: una giovane donna che, dopo aver perso marito e figlio nel conflitto, sopravvive prostituendosi per strada coi primi che capitano; un reduce vittima della sindrome postraumatica che lo ha privato del sonno e della voglia di (soprav)vivere, infliggendogli il tormento di chi non è in grado di lasciarsi alle spalle le ferite sempre aperte del passato; e un operatore del mercato nero che, segnato nel profondo dall’orrore di cui è stato testimone mentre era al fronte, cova nell’intimo un oscuro e non meglio identificato desiderio di vendetta contro chi o cosa sono a sua detta la causa prima di quello stesso orrore.

Regista, sceneggiatore, direttore della fotografia, scenografo, attore ma anche montatore, dopo il dittico di Nobi e Zan, con questo toccante e a tratti volutamente disturbante Hokage – Ombra di fuoco il sessantacinquenne Shinya Tsukamoto torna a raccontare l’impatto devastante che ogni conflitto (e non solo la Seconda Guerra Mondiale, qui presa come esempio paradigmatico coi suoi effetti mortiferi sul Giappone) riesce ad avere sugli esseri umani, cucendo insieme un viaggio nei cunicoli dell’orrore più cupo. Un orrore visto però attraverso gli occhi di un bambino che, pur dovendosi adattare suo malgrado a vivere di espedienti per stare a galla tra le macerie materiali e morali che lo accerchiano da ogni parte, non smette di mostrare una fiducia incrollabile in adulti incapaci di regalargli protezione proprio perché ormai impossibilitati anche a proteggere se stessi.

Presentato a Venezia 2023 nella sezione Orizzonti e sorretto da una regìa impeccabile in cui l’essenzialità del racconto per immagini non cede mai il passo alla raffinatezza formale, Hokage – Ombra di fuoco può forse far pensare a una sorta di approccio in stile neorealistico (pur non condividendone la deriva documentaristica). Soprattutto per l’elenco quasi enciclopedico di temi affrontati che fanno da corollario inevitabile a ogni lungometraggio incentrato sulle devastazioni materiali e psicologiche lasciate da ogni guerra: dalle cicatrici epidermiche e interiori che i conflitti lasciano nelle vittime al tormentato rapporto tra sopravvivenza e moralità (ovvero fino a che punto ci si debba e possa spingere pur di restare vivi e se sia possibile mantenere la propria umanità quando si lotta per la sopravvivenza); dal tema del trauma insuperabile dei reduci incapaci di essere riassorbiti in una società in cui non c’è più posto per chi è memoria visiva dell’orrore che si vuole dimenticare, a quello di un paese ridotto a brandelli in cui caos e miseria spingono i sopravvissuti a cercare nell’aggregazione anche casuale – come accade all’improvvisata triade composta da orfano, vedova e reduce – la soddisfazione del bisogno essenziale che ogni essere umano ha di connessione e di supporto reciproco.  

E se questa sinfonia della disperazione arriva dritta al cuore, lo si deve anche al meraviglioso trio di attori impegnati nei difficili ruoli dei protagonisti: con la prova sbalorditiva dello straordinario Ogua Tsukao nei panni dell’orfano in cerca di affetto, così come per la performance memorabile di Hiroki Kono nei panni del soldato e anche quella di Shuri Namakura che regala alla sua giovane vedova grandissima intensità espressiva che ricorda nel tono a tratti esasperato della sua disperazione urlata quel fuoco che nel titolo rimanda alla potenza distruttiva dell’incendio atomico che ha raso al suolo un paese, ma non la forza che la sua gente mostra nel non volersi piegare alla distruzione totale.


di Guido Reverdito
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