Hey Joe

La recensione di Hey Joe, di Claudio Giovannesi, a cura di Guido Reverdito.

Chi ha visto e apprezzato Fiore nel 2016 e tre anni dopo La paranza dei bambini (dal romanzo omonimo di Roberto Saviano), sa bene quanto il regista e sceneggiatore romano Claudio Giovannesi sia attento al tema dell’adolescenza inquieta e quanto il rigore del suo cinema abbia dimostrato di essere una delle lenti più attrezzate per descriverne in immagini le tortuose fibrillazioni e le difficili odissee per approdare all’età adulta.

Con Hey Joe – delicata ballata retro sui temi del ritorno al passato e delle occasioni perdute ma anche sulla complessità del rapporto padri/figli – Giovannesi torna sul luogo del delitto de La paranza dei bambini (la Napoli dei Quartieri Spagnoli duri e puri dei primi anni 70’), senza lasciarsi però sfuggire l’occasione di condividere col pubblico una riflessione a bocca storta sulla precarietà della condizione giovanile in aree del paese dove le finestre sul futuro sono pure chimere e la sola opzione lavorativa per molti sia diventare carne tenera da cannone per la criminalità organizzata.

La vicenda si svolge su piani cronologici sfasati nel tempo. La prima parte è nella Napoli del 1944. Lì il giovane marinaio americano Dean Berry intavola una relazione passionale con Luisa, una scugnizza dei Quartieri Spagnoli, mettendola però incautamente incinta poco prima di dover rientrare negli Stati Uniti. E pur avendole promesso di tornare, finisce col lasciare passare molto tempo senza mai anche solo pensare di farlo.

Da quel momento si salta in avanti di quasi trent’anni. Siamo infatti nel 1971, nell’area del New Jersey. Veterano ormai di tre guerre – alla Seconda Mondiale si sono infatti aggiunte la Corea e il Vietnam – Dean è ora un mezzo alcolizzato che si trascina da una sala bingo all’altra e ha una pessima relazione con una ex moglie cui non paga gli alimenti. Ma all’improvviso gli arriva un telegramma spedito dall’Italia moltissimi anni prima nel quale gli viene ricordato che a Napoli ha un figlio, Enzo, il quale gli aveva scritto a 12 anni quando la madre Lucia era morta, chiedendo di poter incontrare il padre mai visto. Incapace di resistere al richiamo, Dean parte allora per Napoli alla ricerca di quel figlio, che adesso è un adulto e vive un’esistenza fatta di espedienti e figlia di un’educazione criminale impartitagli da un boss camorrista che ha rimpiazzato l’assente figura paterna negli anni più difficili di una vita senza regole né certezze.

Giovannesi, autore non solo dello script a sei mami insieme a Maurizio Braucci e Massimo Gaudioso, ma anche di una suggestiva colonna sonora (composta con Andrea Moscianese) che si sposa al meglio con la fotografia carica di sensualità firmata da Daniele Ciprì, dirige con polso fermo e la sua abituale empatia nei confronti dei personaggi usciti dalla sua penna una fiaba consolatoria sulle seconde opportunità affidata quasi in toto alle spalle solide di un grandissimo James Franco. Imbolsito quanto basta per far dimenticare il suo passato da sex symbol da pubblicità glamour, l’attore diventato una star grazie alla saga di Spider-Man riesce a trovare il giusto equilibrio tra lo stereotipo dell’americano affetto dalla sindrome del salvatore (anche se la sua empatia nei confronti della povera gente dei bassi partenopei è uno slancio sincero da parte di chi sente uno di loro e li aiuta per quello), e il ritratto di un padre diviso tra il tormento dell’abbandono e il desiderio di riscatto sociale e umano per il figlio che non ha mai accettato di avere e che adesso ha bisogno dell’aiuto necessario per uscire dalle sabbie mobili criminali in cui è intrappolato. Se si eccettuano due piccole cadute in sede di sceneggiatura (la contraddizione tra il Dean che non paga gli alimenti alla ex-moglie e quello super generoso verso gli ultimi incontrati a Napoli, ma soprattutto un golden retriever quanto mai improbabile nella suburra dei Quartieri Spagnoli dei primi anni 70’), Hey Joe è una piccola gemma in cui tutto funziona come si deve anche grazie alla scelta del cast che ruota intorno a James Franco: su tutti Francesco Di Napoli (non a caso uno degli straordinari protagonisti de La paranza dei bambini) nei panni del figlio ritrovato, e Aniello Arena – l’ex-camorrista ergastolano divenuto attore feticcio di Giovannesi che lo aveva già voluto nei suoi tre precedenti lungometraggi – in quelli del boss che aveva trasformato il piccolo Enzo da orfano smarrito in guappo in fieri per una carriera nel crimine di bassa lega.


di Guido Reverdito
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