Elemental
La recensione di Elemental, di Peter Sohn, a cura di Mariella Cruciani.
Elemental, nuovo lungometraggio originale Pixar, è il risultato di una grossa produzione ed è ispirato al vissuto del suo regista: Peter Sohn, figlio di genitori coreani emigrati negli Stati Uniti. Il mix di culture rappresentato dagli elementi (aria, terra, acqua e fuoco) che abitano la metropoli di Element City è quello sperimentato da Sohn bambino negli anni Settanta e anche la storia d’amore del film allude al suo matrimonio misto, inizialmente contrastato dalla famiglia d’origine. È da qui che nasce l’immagine del fuoco che si innamora dell’acqua: Ember, ragazza “ardente” e facilmente “infiammabile” incontra il suo opposto, Wade, fatto di acqua, calmo e sensibile. Riusciranno ad amarsi senza disintegrarsi a vicenda, spegnendosi o evaporando?
Elemental, però, non si limita a parlare di immigrazione, inclusione o amori travagliati. Soprattutto nella seconda parte, infatti, si concentra sul percorso di crescita di Ember, costretta a fare i conti con se stessa e con i propri desideri (“Io non voglio gestire il negozio di famiglia!”). Se, all’inizio, il film si presenta come la classica commedia sugli opposti che si attraggono, strada facendo prenderà un’altra direzione ed eroina assoluta diverrà, appunto, Wade alle prese con domande e riflessioni ineludibili: “Cosa c’è che non va in me? Il negozio era il sogno di mio padre: non mi sono chiesta se fosse il mio…”
A questo punto, a chi guarda viene in mente un classico dell’animazione, quello sì riuscitissimo, in cui la protagonista Mulan doveva scegliere tra la lotta per l’indipendenza, l’autoaffermazione e la tendenza contraria ossia restare a casa, al sicuro, legata ai suoi. Il cartone animato del 1998 seguiva l’intero processo di individuazione dell’impavida ragazza e lo spettatore si ritrovava a fare il tifo per lei. Ember, al contrario, cattura meno le simpatie del pubblico perché risulta difficile focalizzarsi, a metà dell’opera, su di lei, dopo essere stati distratti da spunti di ogni tipo.
Insomma, anche per lo Studio più famoso del mondo è impossibile tenere in equilibrio in un colpo solo i temi già citati e l’immancabile morale “insegui il tuo sogno”. Alla fine, ciò che rimane è la simpatia e l’umanità di Wade, apparentemente spalla di Ember ma, a ben guardare, portatore di un insegnamento fondamentale: per vivere bene, basta lasciarsi trasportare dalla corrente (lui lo fa letteralmente!) e mantenersi semplici, puri, empatici. Senza dimenticare, quando è il caso, di dire agli altri e a se stessi: “Non preoccuparti. Stai facendo del tuo meglio”.
di Mariella Cruciani