Eden
La recensione di Eden, di Ron Howard, a cura di Roberto Baldassarre.

L’Eden è un luogo mitico, descritto nella Bibbia (Genesi, 2) come il rigoglioso e perfetto posto creato da Dio per Adamo ed Eva, oppure, sempre in ambito teologico, luogo post-mortem riservato solamente agli uomini che si sono comportati in vita in maniera giusta. Nel linguaggio comune “eden” ha conservato principalmente la prima accezione, e il termine si utilizza per descrivere il “paradiso” che ognuno di noi cerca o prova a creare. Uno spazio isolato (elevato) rispetto alla civiltà, nel quale poter vivere tranquillamente la propria esistenza. È quello che provarono a realizzare il Dr. Friedrich Ritter e la sua compagna/amante Dora Strauch, a cui poi si aggiunsero uno sparuto gruppo di persone, affascinate dalla visionaria idea del dottore. Nel 1929, con l’intensificarsi dei totalitarismi, in particolare il crescente nazionalsocialismo che lentamente stava corrompendo e distruggendo la Repubblica di Weimar (a suo modo un tentativo di eden culturale e urbano), la coppia di intellettuali decise di isolarsi fino all’isola di Floreana, facente parte dell’arcipelago delle Galápagos. Un’isola incontaminata e selvaggia lontanissima dal restante mondo in via di dissoluzione morale, pertanto perfetta per poter teorizzare, dimostrando la fattibilità di una vita giusta e senza violenza, che una nuova umanità fosse possibile.
È su questa vicenda, a suo modo leggendaria, che Ron Howard imbastisce Eden, un’opera cupa e rude che porta a compimento – negativo – alcune tematiche presenti in molti dei suoi precedenti film. Non c’è pietas né salvezza rispetto a quanto aveva raccontato in precedenza. Scritto assieme a Noah Pink, e da quest’ultimo solo sceneggiato, Eden, benché non riesca narrativamente a essere crudo e viscerale come ciò che vuole raccontare, conferma però la duttilità registica di Ron Howard, capace di adattarsi a generi differenti. In precedenza, soltanto Fuoco assassino (Backdraft, 1991) e Heart of the Sea – Le origini di Moby Dick (In the Heart of the Sea, 2015) erano state opere incentrate su rapporti interpersonali particolarmente fisici e irruenti, nel quale i personaggi tendevano a comportamenti prevaricatori. Però va anche rilevato che la competizione tra uomini, l’avidità, la rabbia e l’egoismo sono presenti sin dall’esordio con la commedia cormaniana Attenti a quella pazza Rolls Royce (Grand Theft Auto, 1977), fino a giungere al competitivo Rush (2013) passando per il già citato Fuoco assassino e la commedia giornalistica Cronisti d’assalto (The Paper, 1994), mostravano figure umane battagliere, in senso positivo ma anche con accezione negativa.
In Eden non ci sono personaggi positivi, e anche la minuta Margret Wittmer (Sydney Sweeney) alla diventa una bestia feroce, come ben visibile nella scena dei cani che cercano di sbranarla, oppure nell’interrogatorio con le autorità militari, in cui dimostra di poter sfoggiare una fredda e metodica sicurezza, per proteggere se stessa e la famiglia. L’utopico Dottor Ritter (Jude Law), teorizzatore che l’uomo è di per sé buono ma è traviato dall’ambiente che lo circonda, giunge alla fine alla constatazione che gli uomini non sono dissimili dagli animali. Sebbene l’uomo si sia evoluto, l’umanità non è dissimile alle scimmie di 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey, 1968) di Stanley Kubrick.
Tra l’altro, film citato nella scena in cui Ritter spara a un cinghiale: l’animale cade al suolo proprio come nella brevissima scena ellittica dello Sci-Fi di Kubrick, veloce sequenza in cui si riassumeva come l’evoluzione umane avrebbe comportato anche un incremento della violenza. All’inizio dei titoli di coda, ci sono alcuni filmati originali che mostrano spensieratezza e collaborazione tra quel piccolo gruppo di persone. Eden, cinematograficamente, ha mostrato che è stata soltanto ipocrita “propaganda”. Un Eden non potrà mai esistere, se non spargendo sangue.

di Roberto Baldassarre