Babygirl
La recensione di Babygirl, di Halina Reijn, a cura di Emanuele Di Nicola.

La manager Nicole Kidman inizia una relazione pericolosa con lo stagista Harris Dickinson: la capa e il sottoposto rovesciano nel sesso il rapporto di forza sul lavoro, visto che lei ama essere dominata e lui veste il ruolo di master. Dopo una tenace negazione dello scenario, che si fa auto-evidente, nello sviluppo graduale del loro rapporto Nicole inizia a rischiare sia il lavoro che la famiglia… Babygirl, il presunto “film scandalo” del concorso all’ultimo Festival di Venezia, arriva in sala dal 30 gennaio: come sempre, inutile ribadirlo, lo scandalo è solo nell’occhio di chi guarda.
La regista olandese, già responsabile di Bodies Bodies Bodies, gira un erotico senza pene né vagina ma con almeno due colpi al suo arco: in primo luogo è un film sulla rappresentazione della nuova sessualità, quella sostenuta dal giovane Harris che la postula come normale e incrina il rigido neo-moralismo borghese; oggi è così, dice, anche se i boomer non lo sanno. Nella figura della Kidman che viene magnificamente dominata non c’è niente di strano, il vero scandalo sta tutto nel comprenderlo e metterlo in atto.
Dentro il racconto, nei suoi punti caldi e nelle curve bagnate, si aggira una sorta di Kidman/Huppert nella versione più estrema possibile per un film commerciale, ottimamente costruito, girato e diretto, che riempie col pieno di senso il vuoto della dissolvenza. Il gioco sessuale dei due si dipana lentamente tra sguardi e sfioramenti, contatti fugaci, all’insegna – per lei – di un’ostinata negazione della propria natura, alla quale infine bisogna arrendersi: sono un master e una slave, questa la loro essenza, e non c’è niente di male. Come nulla di davvero nuovo si annida nel film, non c’è alcun impero dei sensi, ma soltanto una solida visione erotica che ancora nel 2025 funziona e serve.
L’altro dardo del film è il corpo di Nicole a 57 anni: regalando un nudo imperiale da dietro, l’attrice riflette su se stessa, sullo scorrere del tempo e percorre le curve più hard della sua carriera, soprattutto Eyes Wide Shut esplicitamente citato. L’ambiguo finale di Babygirl riprende proprio la chiusura kubrickiana aggiornata alla fluidità sessuale di oggi: “Scopare, pensando a quello che ti pare”.

di Emanuele Di Nicola