Amleto è mio fratello

La recensione di Amleto è mio fratello, di Francesco Giuffré, a cura di Emanuele Di Nicola.

Il cinema dei matti con Amleto è mio fratello muove un piccolo passo avanti. L’esordio al lungometraggio di Francesco Giuffré, per la verità, viene incardinato sullo schema classico del genere: un gruppo di “matti” organizza una fuga in cerca della libertà. E la libertà, nel loro caso, significa portare a termine una rappresentazione teatrale dell’Amleto di William Shakespeare in cui, da titolo, si riconoscono.

Paolo, Paolone, Andrea e Carlo sono quattro attori diversamente abili, ognuno con un problema specifico, ma tutti grandi appassionati di Shakespeare. Per questo una notte organizzano una fuga d’arte, a bordo di un pulmino, dopo aver appreso che un noto teatro di Napoli sta cercando qualcuno che rappresenti l’opera somma del Bardo. In altre parole, vogliono partecipare al provino. Un gesto “normale”, insomma. Inutile dire però che la loro idea di normalità si scontra con quella degli altri, gli abili, sbattendo contro un mondo parallelo spesso colmo di pregiudizi nei confronti del disturbo mentale, alla faccia della legge Basaglia.

Non è così la commissaria di polizia incarnata da Claudia Gerini che, al contrario, rispetta chi insegue e ne fa anche una questione semantica, di linguaggio, quando corregge il collega che li chiama “handicappati”. Nell’arco di novanta minuti si dispiega quindi il gioco del gatto e topo, che passa per l’incontro con un nucleo famigliare norvegese in odore di hippie, dove la giovane Chloe accoglie i “matti” con cui condivide la passione teatrale, per la tossicodipendente Mia e per luoghi dismessi come un luna park triste, gestito da un ex attore in sedia a rotelle. I reietti, le figure e gli spazi ai margini della società si riconoscono e si specchiano nei quattro aspiranti attori.

Il regista manovra il congegno scegliendo il tono della commedia, a volte lanciando un messaggio troppo esplicitamente “detto”, ma che non si mangia il film e lo lascia respirare. Come accadeva in Si può fare di Giulio Manfredonia del 2008, con Claudio Bisio in un ruolo simile alla Gerini, anche qui il tema della salute mentale viene trattato attraverso una lente inclusiva e rispettosa, portando a riflettere sul concetto di diversità. Cosa è normale e cosa non lo è? Avere un problema mentale è davvero più grave di avere un pregiudizio? Il punto è sempre quello e, nello sguardo degli altri verso i folli, resta irrisolto. Amleto è mio fratello rimane comunque coerente fino in fondo al registro comico, consapevole di ciò che va mettendo in scena, e quindi concedendo un finale tenero ma lontano dall’obiettivo di partenza.


di Emanuele Di Nicola
Condividi

di Emanuele Di Nicola
Condividi