Soldini oltre il minimalismo
Pane e tulipani, quarto film del regista d’origine ticinese Silvio Soldini, non fa certo esplodere un caso alla sua uscita, tuttavia riuscendo ad unire pubblico e critica in un tripudio generale.
La ragione è semplice: il film, rifiutando lo stile minimalista dei precedenti, come nell’essenzialissimo Un’anima divisa in due (1996), perviene ad una sorta di linguaggio di fin troppo calcolata semplicità, basato su una filosofia della realtà più idealizzata che colta nel suo accadere fenomenologico.
La storia è a tutti nota: lo schema è quello classico (che ad esempio ritroviamo in maniera intercambiabile in un’opera lontana dal mondo di Soldini come Montenegro tango (1981 di Dusan Makavejev) della donna piccolo-borghese che lascia il suo ambiente per addentrarsi in una realtà sino a quel momento sconosciuta. Ed è poi facile prevedere che tutto si chiuderà con un finale allegro, positivo, ma alquanto prevedibile. Di tutti i personaggi, forse quello della protagonista può dirsi riuscito in senso realistico, mentre quello del cameriere solitario, Bruno Ganz, risulta alquanto bolso e patetico, pur tuttavia segnato da una sottile malinconia. Dei comprimari non si può non parlare di simpatiche macchiette.
A tratti Soldini almodovareggia (sfiorando la commedia degli equivoci) tra goffi investigatori ossessionati dalla madre, massaggiatrici dal cuore d’oro, vecchi giardinieri anarchici, tutti uniti da un comune sentire, ossia la voglia di nuovi legami affettivi. Sullo sfondo una Venezia inedita, di rado veramente da cartolina, tuttavia l’inno alla vita, cui il film sembra poeticamente votarsi, non convince proprio per il suo carattere prettamente intenzionale.
E’ curioso che lo stesso regista, durante un’intervista sul quotidiano La Repubblica, si sia domandato la ragione per cui gli altri suoi film non abbiano ottenuto il medesimo successo di quest’ultimo. E’ in realtà una semplice questione di linguaggio e di stile: da una parte la vita reale colta nel suo farsi lento e spesso privo di colore e di qualsivoglia ispirazione, dall’altra invece la vita come si vorrebbe viverla (ossia la sua riconquista), allegra, vitalistica e un po’ naif, fintamente bizzarra, che tuttavia sembra voler arretrare di fronte alla nuda verità.
di Maurizio Fantoni Minnella