SIC 2007 – Omaggio a Ousmane Sembène
“L’artista deve, in molti sensi, essere la bocca e le orecchie della sua gente. In senso moderno, questo corrisponde al ruolo del griot nella cultura africana tradizionale. L’artista è come uno specchio. Il suo lavoro riflette e sintetizza i problemi, le lotte e le speranze della sua gente.”Così Ousmane Sembène, pioniere del cinema africano scomparso il 9 giugno di quest’anno nella sua Dakar, definiva il proprio ruolo.
Nato in Senegal nel 1923, Sembène, prima di realizzare, a quarant’anni, Borom Sarret, suo primo cortometraggio a soggetto, svolge i lavori più disparati (portuale, pescatore, muratore, idraulico, meccanico, sindacalista), ma pubblica anche romanzi e una raccolta di racconti. Ben presto, però, comprende che la letteratura non gli permette di comunicare con il suo popolo, analfabeta per l’ottanta per cento: decide, così, di darsi al cinema e trascorre in paio di anni (1962-1963) a Mosca, presso gli studi Gork’ij, per apprendere la tecnica cinematografica. Tornato in Senegal, gira un reportage sul Mali, che non termina, e, poi, Borom Sarret (1963), un piccolo capolavoro in cui dimostra di aver fatto propria la lezione del neorealismo e della nouvelle vague. Il titolo deriva dalla deformazione dell’espressione francese “ bon homme à la charrette”: protagonista del corto è, infatti, un povero carrettiere al lavoro per le vie di Dakar. Il commento, affidato alla dizione dello stesso Sembène, accentua il registro da novella morale: “ di chi bisogna fidarsi? I ricchi sanno solo mentire”.
Due anni dopo, Sembène realizza il suo primo lungometraggio, La noire de … (1965), tragedia dell’incomunicabilità nonchè riflessione inconciliata e durissima sui rapporti tra la Francia e le sue colonie. Il film forma con il corto precedente una sorta di dittico sull’impossibilità di sfuggire alla propria condizione sociale: se il carrettiere sogna invano di entrare negli appartamenti moderni, Diouana, giovane donna senegalese assunta come baby sitter da una coppia francese, vi riesce e si illude di poter sfuggire ad una condizione di sottomissione ed emarginazione ma non è così e la ragazza reagisce togliendosi la vita. Il 1968 è l’anno di Manda bi, primo film a colori di Sembène: lo scrittore-regista, utilizza, in questo caso, un registro tragi-comico per sparare a zero contro ogni mito solidaristico-populista sulla sua gente. Ibraihima Dong, panciuto protagonista di Manda bi, alla fine delle sue disavventure, burocratiche e non, conclude significativamente: “In questo paese, l’onestà è un reato. Anch’io diventerò disonesto, ladro, bugiardo”.
Seguono altre opere: Ceedo (1976), Camp de Thiaroye (1987), Faat Kiné (1999), Moolaadé (2004), il non concluso La Confrérie, tutte testimonianze della società africana nonché di un cinema appassionato e impegnato, inteso sempre come strumento di presa di coscienza, mezzo di azione politica.
di Mariella Cruciani