Intervista a Francois Cluzet

La nostra intervista all'attore francese Francois Cluzet, ospite d'onore del France Odeon di Firenze.

Francois Cluzet è stato l’ospite d’onore della 15° Edizione di France Odeon, per la direzione artistica di Francesco Ranieri Martinotti e la presidenza di Enrico Castaldi.

Una lunga carriera alle spalle, punteggiata da film come Round Midnight di Tavernier, French kiss di Kasdan, L’avversario di Garcia, Grandi bugie di amici di Canet, Un’ombra sulla verità di Le Guay, Masquerade Ladri d’amore di Bedos e L’incredibile storia dell’isola delle rose di Sibilia.

Come si è avvicinato alla recitazione

“A dieci anni, facevo parte di un complessino e cantavo Lady Madonna. Quello che mi piaceva di più era il pubblico che mi guardava come fossi Dio. Andai a vedere un Don Chisciotte a teatro e l’attore ricevette venti minuti di applausi. Volevo provare le sue stesse emozioni. Mio padre aveva un’edicola di giornali. A otto anni, mi alzavo alle sei di mattina per portare i giornali ai clienti. Mia madre era andata via. e mi divertivo a fingere di essere ubriaco o di fare il matto. Calarmi in questi personaggi per me non era difficile, anche perché mio padre diceva a tutti che era un medico e fingeva di essere un’altra persona. Io e mio fratello abbiamo sofferto di mancanza d’affetto. Ho continuato a immergermi in delle storie che non erano reali perché sentivo il bisogno di non essere quello che ero. Volevo diventare famoso”.

Ha interpretato L’inferno di Claude Chabrol, film che Henry Clouzot non riuscì a portare a termine. Quali le differenze tra le due sceneggiature? E’ vero che ci furono dei problemi sul set tra Chabrol e la Beart?

“Clouzot era gelosissimo e, non a caso, aveva pensato a questo tipo di film. Chabrol ha reso più lineare la vicenda che nella stesura di Clouzot era più ingarbugliata. Di fatto Clouzot aveva girato delle scene con Romy Schneider, contattato Trintignant e altri attori, ma non aveva ben chiaro lo sviluppo della vicenda. Non ho avuto nessuna difficoltà a calarmi nel personaggio anche perché la Beart era bellissima e se fossi stato suo marito sarei stato anche io geloso, anche perché vestiva con abiti succinti. Non ci forno problemi sul set tra lei e Chabrol”.

Come si è avvicinato al personaggio paraplegico di Quasi amici?

“Amavo andare in moto e ho pensato che quel personaggio fosse diventato paraplegico a seguito di un incidente di moto. La prima volta che mi hanno mostrato la sedia a rotelle, prima di sedermi, ho chiesto al regista e alla troupe di restare da solo con la sedia. Ho cercato di mantenere per tutto il film quel pensiero legato al presunto incidente di moto”.

Il suo rapporto con Sy Omar?

“Ho creduto che fosse giusto, in maniera altruistica, lasciargli la possibilità di giocare. Il ruolo dell’attore deve essere inteso, a mio avviso, in questo senso. Sul set siamo una squadra e ognuno si deve mettere al servizio dell’altro. Non si può recitare da soli. Con l’avanzare dell’età ho capito che più invecchiamo e più dobbiamo diventare leggeri. Se incontri sul set un principiante, sei tu che gli devi andare incontro e non viceversa”.

Un film che trattava in maniera leggera e divertente il tema della disabilità

“Come diceva Bergman, credo che la funzione del cinema debba essere quella di divertire, termine il cui etimo rimanda a “sviare”, “portare da un’altra parte”. In quell’ora e mezza dobbiamo offrire la possibilità allo spettatore di affrontare una tematica con uno sguardo diverso, meglio ancora se trattato con leggerezza”. 

Nella sua carriera ha scelto spesso dei ruoli positivi, come quello de Il medico di campagna o il professore di Un metier serieux.

“Come alternativa avevo quella di sposare il ruolo da duro, del cattivo. Generalmente, però, questo tipi di attori non durano molto. Ho preferito sempre quei personaggi sensibili. Interpretare il ruolo del professore è stata un’esperienza molto interessante. Ho abbandonato la scuola a diciassette anni e, come studente, ricordo due episodi divertenti. C’era un professore che nella prima mezz’ora faceva lezione e nella seconda parlava di cinema. Un ‘altro poi era un gesuita che insegnava il catechismo e noi frequentavamo le sue lezioni perché ci permetteva di fumare in classe”.

Ha mai avuto problemi sul set con dei colleghi?

“Mi sono sempre trovato meglio con le attrici. Gli attori vogliono sembrare tutti James Bond. Le donne si raccontano e riescono a cogliere il nostro lato femminile perché quando si è sul set siamo tutti più fragili ed emotivi”.

In conclusione, come definirebbe il mestiere dell’attore?

“Come diceva Marivaux, gli attori sono persone che fanno finta di far finta”.


di Ignazio Senatore
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