Comandante
Le recensioni di Comandante, di Edoardo De Angelis, a cura di Guido Reverdito e Mariangela Di Natale.

La recensione
di Guido Reverdito
Parlare di patriottismo eroico, nazionalismo e orgoglioso senso di identità coi tempi che corrono avrebbe potuto essere un rischio fin troppo grosso da correre. Ma il napoletano Edoardo De Angelis – la cui filmografia è il marchio di fabbrica di una poetica fatta di creatività proteiforme difficile da incasellare in categorie preconcette – non ha avuto esitazioni a tuffarsi in un’ambiziosa avventura produttiva destinata inevitabilmente ad attirargli critiche non solo dagli addetti ai lavori ma anche dai soloni tuttologi della politica una volta tanto in versione bipartisan.
Presentato a Venezia in concorso, il suo Comandante è un dramma bellico che ricostruisce in maniera filologicamente accurata un episodio della II Guerra Mondiale accaduto il 16 ottobre del 1940 a 700 miglia al largo di Madera: dopo aver silurato e affondato il mercantile belga Kabalo battente bandiera di un paese all’epoca ancora neutrale, Salvatore Todaro – comandante del sommergibile della Regia Marina italiana “Cappellini” – decise di contravvenire agli ordini superiori raccogliendo 26 naufraghi per poi sbarcarli alle Azzorre dopo averli accolti all’interno della propria imbarcazione quando la scialuppa su cui erano accalcati rimase in balìa delle onde essendosi spezzato il cavo che la legava al sottomarino.
Scritto insieme a Sandro Veronesi con una sceneggiatura divenuta novelization edita prima dell’uscita del film nelle sale, Comandante è un film di grosso impegno non solo sul piano della produzione (De Angelis ha infatti scelto di coniugare effetti da kolossal bellico hollywoodiano a una certa abilità artigiana di casa nostra), ma anche su quello più marcatamente ideologico e concettuale per un ardito tentativo di ridisegnare una definizione di italianità in un’epoca in cui ogni accenno a nazionalismi di sorta poteva comportare il rischio di essere accomunato a deliri sovranisti della peggior risma.
L’esito del film è infatti l’opposto (pur non riuscendo appieno a scrollarsi di dosso una certa vocazione didascalica e qualche caduta qua e là in proclami vagamente turgidi): partendo da una specie di assunto da libro Cuore – con la molteplicità di accenti regionali dei membri della ciurma a confermare come l’unità nazionale sia il prodotto di una collettività di provenienze –, De Angelis identifica nel valore del soccorso la forma più sublime di eroismo. Un eroismo dal volto umano identificato nel personaggio del comandante Todaro che giganteggia negli spazi angusti del suo sottomarino imponendo la pietas di chi ha alle spalle duemila anni di civiltà come antidoto all’ottusità barbara delle leggi militari.
Questo tormentato eroe suo malgrado (che Pierfrancesco Favino disegna modulandone con sorniona scaltrezza tutte le variegate sfaccettature di una personalità complessa e multistrato) diventa l’icona potente di un paese che allora come oggi era combattuto tra l’allineamento succube alle mistificazioni di regime e il rispetto dei valori sacri di fratellanza e solidarietà che da sempre dovrebbero contraddistinguere la convivenza tra gli esseri umani.

La recensione
di Mariangela Di Natale
Comandante, l’opera di Edoardo De Angelis apre sorprendentemente la 80ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con un inno all’umanità. Da una sceneggiatura firmata da Sandro Veronesi e dallo stesso De Angelis, dalla quale è tratto l’omonimo romanzo (edito da Bompiani) è il primo tra i sei italiani in concorso per il Leone d’oro.
Ispirato a un fatto realmente accaduto, il film racconta l’amara vicenda del Comandante Salvatore Todaro, l’intrepido uomo dei mari nato a Messina nel 1908 e cresciuto a Chioggia, interpretato dal superbo, Pierfrancesco Favino, “in un metallico dialetto veneto che acuisce l’aspetto emotivo”, che con il suo sommergibile e i suoi valorosi marinai nell’ottobre del 1940 prima affonda una nave belga e poi salva i marinai naufraghi nemici. Si tratta del ritratto intimo di un uomo forte e irremovibile nel combattere l’avversario ma anche risoluto a soccorrerlo per salvarne la vita “come prescritto dalla legge del mare, perché così si è sempre fatto e sempre si farà”.
L’atto eroico di un ufficiale siciliano della Regia Marina italiana che, in piena guerra, disobbedisce agli ordini miliari che impongono di affondare gli avversari e scappare: “affondiamo il ferro ma non gli uomini “. Un grande messaggio di solidarietà umana, un grido di aiuto contro le barbarie e l’indignazione di ogni guerra. L’incredibile storia di un Comandante soprannominato “Mago Baku” che alla guerra antepone i valori dell’etica e dell’umanità, disposto a tutto pur di aiutare vite umane comprese quelle dei suoi avversari, “i corpi che galleggiano nel mare nero per lui non sono nemici, sono naufraghi”, andando contro ogni logica crudele dei protocolli militari.
L’avvincente racconto drammatico, dalla spettacolarità scenografica, è riprodotto dettagliatamente dal regista napoletano giunto al suo terzo lungometraggio, che vede protagonista oltre al sentimentale uomo in divisa e al suo braccio destro e amico fidato, Vittorio Marcon (Massimiliano Rossi) un valoroso e coraggioso equipaggio che si muove affannosamente all’interno del sommergibile, unico spazio scenico d’interni ed esterni per tutta la durata del film. Una sequenza ritmica che De Angelis ricrea attraverso l’atmosfera claustrofobica e frenetica del sottomarino, ”il pesce di ferro”, da cui non si può uscire, ma solo chiacchierare, dormire, ascoltare dialetti diversi e cose al limite dell’incomprensibile.
C’è chi parla sardo, napoletano, siciliano, chi un francese un po’ farfugliato. C’è però un codice che capiscono tutti, cioè quello dei cannoni e della guerra. Si va avanti nonostante il dolore per la perdita dei due giovani marinai; si continua a resistere nella speranza di salvarsi e ritornare dai propri cari. C’è chi scrive lettere come il comandante alla moglie Rina (Silvia D’amico) chi come il cuoco Gigino, che elenca uno per uno tutti i piatti regionali che conosce, nei momenti più critici quando le risorse sono scarse per dare spazio all’immaginazione. E poi c’è la musica affine al comandante, da Un’ora sola ti vorrei a Il Soldato innamorato.
Dalle immagini tanto belle quanto di forte impatto emotivo, nella ricostruzione di uno degli episodi meno conosciuti e più angosciosi della seconda guerra mondiale, De Angelis denuncia ogni forma di ostilità e celebra la grandezza dei valori dell’umanità e la compassione nonostante tutto. Un monito per l’oggi, di come anche nella tragedia si debba restare umani. Ma chi era Salvatore Todaro? Un magnifico esempio che ancora oggi è una leggenda per la Marina Militare italiana, che addirittura gli ha recentemente dedicato una classe di sommergibili. All’inizio della Seconda guerra mondiale Todaro, nonostante la lesione alla colonna vertebrale, rifiuta congedo e pensione di invalidità, malgrado le pressioni della moglie Rina, per mettersi alla guida del sommergibile Cappellini della Regia Marina.
Girata l’anno scorso quasi esclusivamente all’interno della Marina Militare di Taranto, la pellicola ha riportato in ogni dettaglio, (coinvolgendo più di 100 professionisti fra ingegneri, costruttori e artigiani) il sommergibile Cappellini del 1940, lungo 73 metri per 70 tonnellate di acciaio, risalendo ai progetti trovati nell’Ufficio Storico della Marina Militare. Comandante non è prettamente un film di guerra, ma soprattutto una narrazione profonda e riflessiva, di implicazione politica, che ripropone il concetto che salvare una vita equivale a salvare il mondo. De Angelis mira a risaltare il sentimento di solidarietà e di accoglienza, quel senso di comunità che trova un forte eco ai giorni nostri con le tragedie che avvengono quotidianamente nel mar Mediterraneo.
di Guido Reverdito e Mariangela Di Natale