Viaggio al Polo Sud

La recensione di Viaggio al Polo Sud, di Luc Jacquet, a cura di Ignazio Senatore.

“Devi andare dove ti portano le storie”, mi disse un giorno Peppuccio Tornatore.  Un consiglio che avrà, sicuramente, preso alla lettera Luc Jacquet. Il regista francese, infatti, con il suo Viaggio al Polo Sud, vent’anni dopo aver diretto La marcia dei pinguini, doc premiato con l’Oscar, ritorna in Antartide, aria del globo compresa tra la Patagonia e il Polo Sud, eletta come suo luogo dell’anima.  

Jacquet sceglie il bianco e nero e accompagna le stupende immagini di quella natura selvaggia e incontaminata con la sua voce fuori campo. Una scelta che, in verità, nelle prime battute affascina, ma poi diventa un po’ ridondante. I suoi commenti sono però appassionati e da ogni fotogramma emerge l’amore che il regista nutre per questa fetta del mondo. Magnifiche, poi, le riprese che mostrano la silenziosa armonia esistente tra le gigantesche montagne di ghiaccio e la popolazione animale, terrestre e/o marina.

Jacquet s’affida a una colonna sonora che accompagna le immagini e non le sovrasta e, coraggiosamente, decide di essere l’unico essere umano che compare in scena. Un doc rivolto ai veri amanti della natura, che fa riflettere sulle insidie del cambiamento climatico che rischia di distruggere l’unica area del mondo ancora intatta e che resiste ancora (per quanto?) agli insulti dell’uomo.


di Ignazio Senatore
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